Dalla sindrome Nimby alla partecipazione
di Gian Andrea Pagnoni
pubblicato il 16/07/2014 su www.agienergia.it
pubblicato il 16/07/2014 su www.agienergia.it
L'origine del termine
Pochi anni fa mi sono occupato dello Studio di Impatto Ambientale per lo sviluppo, nell'Appennino Centrale, di un impianto ecolico per una nota multinazionale di settore. Come accade nella maggior parte dei progetti che hanno una supposta valenza ambientale il proponente e i progettisti ricevettero inizialmente il supporto delle forze politiche locali, ma fin dalle prime fasi iniziarono a formarsi obiezioni e perplessità da parte degli abitanti del paese presso cui l'impianto avrebbe dovuto essere installato. Consigliai al proponente un approccio partecipato e un venerdì sera invitammo la cittadinanza ad un incontro in cui noi tecnici descrivemmo il progetto e gli impatti prevedibili. La tensione era palpabile anche perché la cittadinanza stessa era divisa. Uno dei momenti che suscitò in me maggiore stupore fu quando un anziano con coppola e bastone si alzò in piedi evidentemente innervosito dichiarando che aveva scelto di rimanere in montagna per l'aria buona e che il progetto avrebbe solo rovinato la qualità dell'aria che respirava fin da bambino. I progetti di impianti eolici non sono certamente esenti da impatti ambientali, in particolare su paesaggio, rumore e fauna alata, ma se c'è un aspetto sul quale l'impatto è evidentemente positivo, è la produzione di energia elettrica senza immissione di inquinanti in atmosfera.
Utilizzo sempre questa esperienza a lezione come introduzione della sindrome NIMBY (acronimo inglese di Not In My Backyard “non nel mio cortile”), ovvero l'opposizione locale a progetti o piani che hanno una valenza pubblica, ma non hanno significative ricadute positive sul territorio in cui sono previste.
Opposizioni organizzate a progetti di utilità sovralocale vi sono da quando esiste la civiltà umana, ma il termine NIMBY iniziò ad essere usato negli Stati Uniti dal 1980 in occasione dello sviluppo di progetti di gestione di rifiuti tossici. Secondo la comune percezione, soggetti alla sindrome NIMBY sarebbero coloro che si oppongono a progetti che prevedono alterazioni sociali, territoriali o ambientali anteponendo interessi personali al bene comune. Per contro, i progetti che sviluppano tali opposizioni vengono definiti dagli analisti come LULU (Local Unwanted Land Uses "utilizzi locali territoriali indesiderati"), termine coniato nel 1981 da Frank Popper della Princeton University.
Il termine NIMBY ha nel tempo mostrato notevole appeal ed è passato dallo status di acronimo a quello di definizione di una attitudine sociale, il nimbismo. Ha una connotazione leggermente negativa in quanto si porta dietro un'aura di egoismo e scarsa lungimiranza, non a caso è spesso utilizzato nei discorsi tecnici e politici che appoggiano un progetto localmente contestato.
Ma i politici non sono esenti da nimbismo, e l'acronimo ha subito nel tempo importanti variazioni sul tema. In politica infatti la tempistica è fondamentale e il diniego può non essere spaziale, ma temporale, e generalmente si evita di proporre progetti potenzialmente conflittuali pochi mesi prima delle elezioni. Il NIMEY (Not in My Election Year, “non nell’anno delle mie elezioni”) lascia allusivamente intendere che bisogna solo aspettare un po’ di tempo, mentre il NIMTOO (Not in My Term of Office, “non durante il mio mandato”) lascia la responsabilità della decisione ad altri.
La conflittuale e personale percezione del progetto
Dagli anni '60 lo sviluppo dei media (in particolare la televisione) portò nelle case delle persone comuni il problema ambientale. I grandi progetti e i trend sociali (dalla caccia alle balene, al proliferare delle centrali nucleari, allo sviluppo demografico) sollevarono anche nelle masse dubbi e preoccupazioni sul futuro dell'umanità. L'ambiente fu sempre meno percepito in senso antropocentrico e sempre più come un contesto in cui controllo e rispetto devono coesistere. L'aumento di tali sensibilità è stato seguito da un aumento delle posizioni radicali, descritte con acronimi come NIABY (Not In Anyone’s Backyard, “ non nel cortile di nessuno”), BANANA (Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anyone, “non costruire assolutamente nulla in nessun luogo vicino ad alcuna persona) o NOPE (Not in Our Planet Earth “non sul nostro pianeta terra”). Le persone affette da queste sindromi sono sarcasticamente definite come CAVE people (Citizens Against Virtually Everything "cittadini sostanzialmente contro tutto").
L'approccio NIMBY non è comunque limitato a progetti che possono avere impatti sull'ambiente come dimostrano i tortuosi percorsi di istituzione di Parchi e Riserve Naturali in Italia o l'opposizione di associazioni turistiche olandesi ad un sito UNESCO proposto a cavallo di tre nazioni (van der Aa et al. 2004). Nel mondo i progetti tipicamente osteggiati sono quelli che riguardano grandi infrastrutture (strade, ferrovie, porti e aeroporti), impianti chimici, industriali o per la produzione di energia, e progetti sociali come carceri o edilizia popolare ad affitti convenzionati che avvantaggiano strati della popolazione indigenti.
In Italia le opposizioni più note sono quelle alla TAV (Tratta Alta Velocità), ma secondo l'Osservatorio Nimby Forum, che con il patrocinio del Consiglio dei Ministri gestisce un database italiano di opere di pubblica utilità contestate, la maggior parte delle opposizioni è su progetti nel comparto energetico (oltre il 63%), seguito dai rifiuti (23%) e le infrastrutture (9,5%). In Italia l'opposizione ha una matrice principalmente popolare (32,2%) seguita da politica (24,7%), Enti Pubblici (23,8%) e associazioni ambientaliste (9,8%).
Negli ultimi anni, lo sviluppo di internet e conseguentemente la semplificazione dell'accesso all'informazione sta aumentando le opposizioni, in un processo evolutivo sociale nel quale si inquadra anche l'aumento delle contestazioni nei confronti dei medici o dei docenti. Il che non è necessariamente sempre negativo, perché alza il livello di attenzione di operatori e proponenti.
La disponibilità che, nonostante l'attacco subito, mostrai alla cittadinanza la sera della presentazione del progetto di parco eolico in centro Italia, è probabilmente legata ad una esperienza personale di alcuni anni prima, quando il mio Comune propose una discarica di rifiuti nei pressi della mia frazione. Rapidamente alcuni abitanti si organizzarono e l'intervento di un geologo residente (che gratuitamente fece sondaggi nel suolo e sottosuolo) fu decisivo per impedire la realizzazione. Per carattere e per motivi professionali non partecipo a tali opposizioni, ma devo ammettere che quando il progetto fu abbandonato fui contento.
E' evidente che la connotazione positiva o negativa del termine NIMBY dipende dalla propria predisposizione caratteriale e soprattutto dagli interessi in gioco. Anthony Jay nel libro ‘Not in Our Backyard: How to run a protest campaign and save the neighbourhood’ si definisce orgoglioso di essere un NIMBY, come lo dovrebbe essere "ogni cittadino che difende la casa e il vicinato dai piani finalizzati a inquinare il paesaggio e l'ambiente, estendere la rete di trasporti, depauperare ecosistemi e decurtare di 50.000 sterline il valore delle proprie case". Quando un problema raggiunge i nostri cortili "siamo tutti NIMBY e ogni NIMBY merita rispetto per il valore della sua opposizione a lobby e governi". Infatti in alcuni casi estremi (ad esempio il Delta del Niger) il termine può non essere associato alla ignorante ricerca di egoistici interessi locali, ma può caratterizzare l'opposizione di settori poveri della società nel drammatico tentativo di pretendere giustizia ambientale e sociale.
La sindrome NIMBY è in realtà culturalmente specifica in quanto generalmente si sviluppa tra cittadini o comitati di cittadini appartenenti a strati sociali acculturati e relativamente benestanti. A livello italiano il trend è evidente in quanto (secondo il Nimby Forum 2014) la maggior parte delle contestazioni è al nord. Ancora più spiccato è il trend nei paesi in via di sviluppo, dove le persone indigenti da un lato non hanno il tempo nè la cultura sufficienti per comprendere ed organizzarsi correttamente, e dall'altro tendono a vedere le nuove infrastrutture come segni di sviluppo e progesso (Burningham et al. 2006). In tali casi l'opposizione è quindi inferiore o sapientemente ridotta dai proponenti.
Oltre l'ignorante egoismo: la partecipazione
L'atteggiamento oppositivo tipico della sindrome NIMBY può essere inquadrato all'interno della teoria sociologica della "scelta razionale", la quale assume che l'uomo pondera le proprie scelte in base ad una individualistica analisi costi-benefici. Tale paradigma è indubbiamente popolare, ma da tempo criticato da molti studi sociologici emipirici che suggeriscono che l'interesse personale è solo uno dei fattori che influenzano l'opinione pubblica e la politica. Oltre agli interessi personali i cittadini sono motivati da attitudini, empatia, moralità e ideologia. Se così non fosse non si spiegherebbe perché migliaia di persone contribuiscono volontarimente, gratuitamente e senza apparire, allo sviluppo di Wikipedia, il più grande lavoro enciclopedico del mondo.
Se si rimane liberi da visioni qualunquistiche e dietrologiche, risulta evidente che i progetti umani sono finalizzati ad avere impatti positivi per qualcuno, se non altro di tipo sociale o economico; altrimenti non verrebbero pensati. Dato però che ogni progetto comporta modifiche territoriali e impatti, si avranno sempre interessi contrapposti. Da un lato, le convinzioni e le aspettative di proponenti e tecnici coinvolti, dall'altro, le aspettative e le paure dei cittadini. Tali contrasti possono influenzare le posizioni (teoricamente super partes) degli Enti pubblici per il controllo e il monitoraggio ambientale ed estendersi portando Istituzioni locali e nazionali su piani contrapposti.
La sera della presentazione del progetto di parco eolico e durante i sopralluoghi nei giorni precedenti ascoltai molte lamentele da parte degli abitanti sul fatto che ad un certo punto avevano visto sorgere paletti e nastri che delimitavano "qualcosa". In contesti di scarsa fiducia nei confronti delle istituzioni o di proposte dall'esterno, il mancato avviso di una proposta entra con violenza nell'immaginario collettivo e ciò che è ignoto scatena sinergicamente fantasie e paure. E' evidente quindi che l'approccio partecipativo era partito in una fase già troppo avanzata del progetto, quando cioè le paure personali avevano alimentato la profonda sfiducia che la popolazione aveva nei confronti delle proposte fatte nel loro territorio. Il che è in linea con quanto rileva il Nimby Forum 2014 secondo cui in Italia la maggior parte delle opposizioni sono motivate da timori per la qualità della vita (21%), seguite da carenze procedurali e di coinvolgimento (17,5%) e da timori per la salute pubblica (14,8%). Studi sociologici su progetti per il trattamento di rifiuti nucleari in Gran Bretagna indicano, fin dagli anni '90, che un background di segretezza e scarsa comprensione della proposta tendono a sviluppare rifiuti di partecipazione o partecipazione oppositiva. Se non tiene in considerazione il background la risposta appare quindi ignorante e reazionaria. E' vero che un pastore non ha titolo decisionale su un crinale di cui non ha la proprietà e in cui è prevista l'installazione di un parco eolico, ma è anche vero che se lo frequenta da quando era bambino, lo spuntare di paletti e nastri che comunicano un diverso utilizzo del territorio, determina una ferita nel suo legame affettivo con la terra.
Chi propone un approccio partecipato fin dalle prime fasi progettuali, si sente spesso rispondere che è meglio non alzare troppa polvere finché non si è più avanti e sicuri. Ma il NIMBY forum evidenzia un significativo incremento delle opposizione ai progetti di utilità pubblica, il che dimostra che le scorciatoie più o meno istituzionali non solo non accorciano i tempi di realizzazione, ma spesso producono l’effetto opposto: tensioni sociali, ritardi, alterazioni del business plan, fino alla compromissione delle prospettive di realizzazione.
Che cosa si può fare per mettere sullo stesso piano progresso e tutela del territorio, interessi pubblici e privati, impresa e governo, sviluppo e sostenibilità? Oggi i grandi progetti devono confrontarsi con una molteplicità di attori che hanno un interesse specifico sul territorio: comitati liberi di cittadini, associazioni ambientaliste, associazioni di categoria e mass media che sempre più facilmente e velocemente interagiscono tra loro.
Al fine di avviare fin dalle prime fasi della progettazione una politica del consenso intrinseca al progetto stesso, che ne faciliti l'iter amministrativo di approvazione, risulta fondamentale un lavoro a diversi livelli gerarchici.
Inizialmente l'esigenza di un nuovo impianto o una nuova infrastruttura deve nascere all'interno delle politiche di programmazione territoriale, esse stesse oggetto di valutazione strategica (VAS). Ad esempio l'esigenza di un progetto di un termovalorizzatore deve nascere da un piano di gestione dei rifiuti che abbia valutato in modalità partecipata la necessità strategica di un certo tipo e numero di impianti escludendo le aree sensibili. A questo punto l'iter autorizzativo viene semplificato perché il Dlgs 152/2006 (art. 19 comma 2) chiarisce che "Per i progetti inseriti in piani o programmi per i quali si è conclusa positivamente la procedura di VAS, il giudizio di VIA negativo ovvero il contrasto di valutazione su elementi già oggetto della VAS è adeguatamente motivato".
Successivamente è importante che il progetto risponda a tutti i requisiti tecnico progettuali in grado di garantire la massima sicurezza e il minimo impatto utilizzando le cosiddette BAT (Best Available Technology). Infine, giunti alla localizzazione progettuale, è molto importante intraprendere opportune azioni di informazione basate sulla trasparenza, sul dialogo, sulla negoziazione e sulla partecipazione, creare un clima di fiducia reciproca tra il proponente e i portatori di interesse del territorio, con l'obiettivo di rendere i cittadini realmente partecipi alle decisioni fin dalle prime fasi. Non dimentichiamo tra l'altro che le Direttive Europea sulla VAS e sulla VIA, recepite nel Dlgs 152/2006, prevedono il "Diritto di accesso alle informazioni ambientali e di partecipazione a scopo collaborativo" (art. 3 sexies).
Questo non significa che tutti i problemi siano risolti migliorando i processi di partecipazione. Da un lato ogni valutazione ambientale è intrinsecamente conflittuale perché è una analisi tecnica effettuata su componenti ambientali spesso difficilmente comparabili. Non è semplice comparare gli effetti negativi sul paesaggio con quelli positivi sull'occupazione. Pochi vorrebbero una torre eolica dentro il colosseo o sopra la piramide di Keope, anche se fosse economicamente molto vantaggiosa. Più difficile è decidere se accettare un traliccio per l'energia elettrica su un crinale appenninico, in questo caso il vantaggio sociale è evidente e il paesaggio è certamente meno peculiare.
Una componente ignorantemente egoista rimarrà probabilmente sempre e quindi se non si troverà una strada efficace per tenerne conto durante tutte le fasi di sviluppo progettuale, resterà la contrapposizione tra le (talvolta ingiustificate) paure delle popolazioni locali e le sicurezze pregiudizialmente auto-assolutorie dei proponenti. Del resto, imprenditore è colui che valuta correttamente fin dall'inizio tutti gli elementi a favore e contro il proprio progetto.
Bibliografia
Pochi anni fa mi sono occupato dello Studio di Impatto Ambientale per lo sviluppo, nell'Appennino Centrale, di un impianto ecolico per una nota multinazionale di settore. Come accade nella maggior parte dei progetti che hanno una supposta valenza ambientale il proponente e i progettisti ricevettero inizialmente il supporto delle forze politiche locali, ma fin dalle prime fasi iniziarono a formarsi obiezioni e perplessità da parte degli abitanti del paese presso cui l'impianto avrebbe dovuto essere installato. Consigliai al proponente un approccio partecipato e un venerdì sera invitammo la cittadinanza ad un incontro in cui noi tecnici descrivemmo il progetto e gli impatti prevedibili. La tensione era palpabile anche perché la cittadinanza stessa era divisa. Uno dei momenti che suscitò in me maggiore stupore fu quando un anziano con coppola e bastone si alzò in piedi evidentemente innervosito dichiarando che aveva scelto di rimanere in montagna per l'aria buona e che il progetto avrebbe solo rovinato la qualità dell'aria che respirava fin da bambino. I progetti di impianti eolici non sono certamente esenti da impatti ambientali, in particolare su paesaggio, rumore e fauna alata, ma se c'è un aspetto sul quale l'impatto è evidentemente positivo, è la produzione di energia elettrica senza immissione di inquinanti in atmosfera.
Utilizzo sempre questa esperienza a lezione come introduzione della sindrome NIMBY (acronimo inglese di Not In My Backyard “non nel mio cortile”), ovvero l'opposizione locale a progetti o piani che hanno una valenza pubblica, ma non hanno significative ricadute positive sul territorio in cui sono previste.
Opposizioni organizzate a progetti di utilità sovralocale vi sono da quando esiste la civiltà umana, ma il termine NIMBY iniziò ad essere usato negli Stati Uniti dal 1980 in occasione dello sviluppo di progetti di gestione di rifiuti tossici. Secondo la comune percezione, soggetti alla sindrome NIMBY sarebbero coloro che si oppongono a progetti che prevedono alterazioni sociali, territoriali o ambientali anteponendo interessi personali al bene comune. Per contro, i progetti che sviluppano tali opposizioni vengono definiti dagli analisti come LULU (Local Unwanted Land Uses "utilizzi locali territoriali indesiderati"), termine coniato nel 1981 da Frank Popper della Princeton University.
Il termine NIMBY ha nel tempo mostrato notevole appeal ed è passato dallo status di acronimo a quello di definizione di una attitudine sociale, il nimbismo. Ha una connotazione leggermente negativa in quanto si porta dietro un'aura di egoismo e scarsa lungimiranza, non a caso è spesso utilizzato nei discorsi tecnici e politici che appoggiano un progetto localmente contestato.
Ma i politici non sono esenti da nimbismo, e l'acronimo ha subito nel tempo importanti variazioni sul tema. In politica infatti la tempistica è fondamentale e il diniego può non essere spaziale, ma temporale, e generalmente si evita di proporre progetti potenzialmente conflittuali pochi mesi prima delle elezioni. Il NIMEY (Not in My Election Year, “non nell’anno delle mie elezioni”) lascia allusivamente intendere che bisogna solo aspettare un po’ di tempo, mentre il NIMTOO (Not in My Term of Office, “non durante il mio mandato”) lascia la responsabilità della decisione ad altri.
La conflittuale e personale percezione del progetto
Dagli anni '60 lo sviluppo dei media (in particolare la televisione) portò nelle case delle persone comuni il problema ambientale. I grandi progetti e i trend sociali (dalla caccia alle balene, al proliferare delle centrali nucleari, allo sviluppo demografico) sollevarono anche nelle masse dubbi e preoccupazioni sul futuro dell'umanità. L'ambiente fu sempre meno percepito in senso antropocentrico e sempre più come un contesto in cui controllo e rispetto devono coesistere. L'aumento di tali sensibilità è stato seguito da un aumento delle posizioni radicali, descritte con acronimi come NIABY (Not In Anyone’s Backyard, “ non nel cortile di nessuno”), BANANA (Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anyone, “non costruire assolutamente nulla in nessun luogo vicino ad alcuna persona) o NOPE (Not in Our Planet Earth “non sul nostro pianeta terra”). Le persone affette da queste sindromi sono sarcasticamente definite come CAVE people (Citizens Against Virtually Everything "cittadini sostanzialmente contro tutto").
L'approccio NIMBY non è comunque limitato a progetti che possono avere impatti sull'ambiente come dimostrano i tortuosi percorsi di istituzione di Parchi e Riserve Naturali in Italia o l'opposizione di associazioni turistiche olandesi ad un sito UNESCO proposto a cavallo di tre nazioni (van der Aa et al. 2004). Nel mondo i progetti tipicamente osteggiati sono quelli che riguardano grandi infrastrutture (strade, ferrovie, porti e aeroporti), impianti chimici, industriali o per la produzione di energia, e progetti sociali come carceri o edilizia popolare ad affitti convenzionati che avvantaggiano strati della popolazione indigenti.
In Italia le opposizioni più note sono quelle alla TAV (Tratta Alta Velocità), ma secondo l'Osservatorio Nimby Forum, che con il patrocinio del Consiglio dei Ministri gestisce un database italiano di opere di pubblica utilità contestate, la maggior parte delle opposizioni è su progetti nel comparto energetico (oltre il 63%), seguito dai rifiuti (23%) e le infrastrutture (9,5%). In Italia l'opposizione ha una matrice principalmente popolare (32,2%) seguita da politica (24,7%), Enti Pubblici (23,8%) e associazioni ambientaliste (9,8%).
Negli ultimi anni, lo sviluppo di internet e conseguentemente la semplificazione dell'accesso all'informazione sta aumentando le opposizioni, in un processo evolutivo sociale nel quale si inquadra anche l'aumento delle contestazioni nei confronti dei medici o dei docenti. Il che non è necessariamente sempre negativo, perché alza il livello di attenzione di operatori e proponenti.
La disponibilità che, nonostante l'attacco subito, mostrai alla cittadinanza la sera della presentazione del progetto di parco eolico in centro Italia, è probabilmente legata ad una esperienza personale di alcuni anni prima, quando il mio Comune propose una discarica di rifiuti nei pressi della mia frazione. Rapidamente alcuni abitanti si organizzarono e l'intervento di un geologo residente (che gratuitamente fece sondaggi nel suolo e sottosuolo) fu decisivo per impedire la realizzazione. Per carattere e per motivi professionali non partecipo a tali opposizioni, ma devo ammettere che quando il progetto fu abbandonato fui contento.
E' evidente che la connotazione positiva o negativa del termine NIMBY dipende dalla propria predisposizione caratteriale e soprattutto dagli interessi in gioco. Anthony Jay nel libro ‘Not in Our Backyard: How to run a protest campaign and save the neighbourhood’ si definisce orgoglioso di essere un NIMBY, come lo dovrebbe essere "ogni cittadino che difende la casa e il vicinato dai piani finalizzati a inquinare il paesaggio e l'ambiente, estendere la rete di trasporti, depauperare ecosistemi e decurtare di 50.000 sterline il valore delle proprie case". Quando un problema raggiunge i nostri cortili "siamo tutti NIMBY e ogni NIMBY merita rispetto per il valore della sua opposizione a lobby e governi". Infatti in alcuni casi estremi (ad esempio il Delta del Niger) il termine può non essere associato alla ignorante ricerca di egoistici interessi locali, ma può caratterizzare l'opposizione di settori poveri della società nel drammatico tentativo di pretendere giustizia ambientale e sociale.
La sindrome NIMBY è in realtà culturalmente specifica in quanto generalmente si sviluppa tra cittadini o comitati di cittadini appartenenti a strati sociali acculturati e relativamente benestanti. A livello italiano il trend è evidente in quanto (secondo il Nimby Forum 2014) la maggior parte delle contestazioni è al nord. Ancora più spiccato è il trend nei paesi in via di sviluppo, dove le persone indigenti da un lato non hanno il tempo nè la cultura sufficienti per comprendere ed organizzarsi correttamente, e dall'altro tendono a vedere le nuove infrastrutture come segni di sviluppo e progesso (Burningham et al. 2006). In tali casi l'opposizione è quindi inferiore o sapientemente ridotta dai proponenti.
Oltre l'ignorante egoismo: la partecipazione
L'atteggiamento oppositivo tipico della sindrome NIMBY può essere inquadrato all'interno della teoria sociologica della "scelta razionale", la quale assume che l'uomo pondera le proprie scelte in base ad una individualistica analisi costi-benefici. Tale paradigma è indubbiamente popolare, ma da tempo criticato da molti studi sociologici emipirici che suggeriscono che l'interesse personale è solo uno dei fattori che influenzano l'opinione pubblica e la politica. Oltre agli interessi personali i cittadini sono motivati da attitudini, empatia, moralità e ideologia. Se così non fosse non si spiegherebbe perché migliaia di persone contribuiscono volontarimente, gratuitamente e senza apparire, allo sviluppo di Wikipedia, il più grande lavoro enciclopedico del mondo.
Se si rimane liberi da visioni qualunquistiche e dietrologiche, risulta evidente che i progetti umani sono finalizzati ad avere impatti positivi per qualcuno, se non altro di tipo sociale o economico; altrimenti non verrebbero pensati. Dato però che ogni progetto comporta modifiche territoriali e impatti, si avranno sempre interessi contrapposti. Da un lato, le convinzioni e le aspettative di proponenti e tecnici coinvolti, dall'altro, le aspettative e le paure dei cittadini. Tali contrasti possono influenzare le posizioni (teoricamente super partes) degli Enti pubblici per il controllo e il monitoraggio ambientale ed estendersi portando Istituzioni locali e nazionali su piani contrapposti.
La sera della presentazione del progetto di parco eolico e durante i sopralluoghi nei giorni precedenti ascoltai molte lamentele da parte degli abitanti sul fatto che ad un certo punto avevano visto sorgere paletti e nastri che delimitavano "qualcosa". In contesti di scarsa fiducia nei confronti delle istituzioni o di proposte dall'esterno, il mancato avviso di una proposta entra con violenza nell'immaginario collettivo e ciò che è ignoto scatena sinergicamente fantasie e paure. E' evidente quindi che l'approccio partecipativo era partito in una fase già troppo avanzata del progetto, quando cioè le paure personali avevano alimentato la profonda sfiducia che la popolazione aveva nei confronti delle proposte fatte nel loro territorio. Il che è in linea con quanto rileva il Nimby Forum 2014 secondo cui in Italia la maggior parte delle opposizioni sono motivate da timori per la qualità della vita (21%), seguite da carenze procedurali e di coinvolgimento (17,5%) e da timori per la salute pubblica (14,8%). Studi sociologici su progetti per il trattamento di rifiuti nucleari in Gran Bretagna indicano, fin dagli anni '90, che un background di segretezza e scarsa comprensione della proposta tendono a sviluppare rifiuti di partecipazione o partecipazione oppositiva. Se non tiene in considerazione il background la risposta appare quindi ignorante e reazionaria. E' vero che un pastore non ha titolo decisionale su un crinale di cui non ha la proprietà e in cui è prevista l'installazione di un parco eolico, ma è anche vero che se lo frequenta da quando era bambino, lo spuntare di paletti e nastri che comunicano un diverso utilizzo del territorio, determina una ferita nel suo legame affettivo con la terra.
Chi propone un approccio partecipato fin dalle prime fasi progettuali, si sente spesso rispondere che è meglio non alzare troppa polvere finché non si è più avanti e sicuri. Ma il NIMBY forum evidenzia un significativo incremento delle opposizione ai progetti di utilità pubblica, il che dimostra che le scorciatoie più o meno istituzionali non solo non accorciano i tempi di realizzazione, ma spesso producono l’effetto opposto: tensioni sociali, ritardi, alterazioni del business plan, fino alla compromissione delle prospettive di realizzazione.
Che cosa si può fare per mettere sullo stesso piano progresso e tutela del territorio, interessi pubblici e privati, impresa e governo, sviluppo e sostenibilità? Oggi i grandi progetti devono confrontarsi con una molteplicità di attori che hanno un interesse specifico sul territorio: comitati liberi di cittadini, associazioni ambientaliste, associazioni di categoria e mass media che sempre più facilmente e velocemente interagiscono tra loro.
Al fine di avviare fin dalle prime fasi della progettazione una politica del consenso intrinseca al progetto stesso, che ne faciliti l'iter amministrativo di approvazione, risulta fondamentale un lavoro a diversi livelli gerarchici.
Inizialmente l'esigenza di un nuovo impianto o una nuova infrastruttura deve nascere all'interno delle politiche di programmazione territoriale, esse stesse oggetto di valutazione strategica (VAS). Ad esempio l'esigenza di un progetto di un termovalorizzatore deve nascere da un piano di gestione dei rifiuti che abbia valutato in modalità partecipata la necessità strategica di un certo tipo e numero di impianti escludendo le aree sensibili. A questo punto l'iter autorizzativo viene semplificato perché il Dlgs 152/2006 (art. 19 comma 2) chiarisce che "Per i progetti inseriti in piani o programmi per i quali si è conclusa positivamente la procedura di VAS, il giudizio di VIA negativo ovvero il contrasto di valutazione su elementi già oggetto della VAS è adeguatamente motivato".
Successivamente è importante che il progetto risponda a tutti i requisiti tecnico progettuali in grado di garantire la massima sicurezza e il minimo impatto utilizzando le cosiddette BAT (Best Available Technology). Infine, giunti alla localizzazione progettuale, è molto importante intraprendere opportune azioni di informazione basate sulla trasparenza, sul dialogo, sulla negoziazione e sulla partecipazione, creare un clima di fiducia reciproca tra il proponente e i portatori di interesse del territorio, con l'obiettivo di rendere i cittadini realmente partecipi alle decisioni fin dalle prime fasi. Non dimentichiamo tra l'altro che le Direttive Europea sulla VAS e sulla VIA, recepite nel Dlgs 152/2006, prevedono il "Diritto di accesso alle informazioni ambientali e di partecipazione a scopo collaborativo" (art. 3 sexies).
Questo non significa che tutti i problemi siano risolti migliorando i processi di partecipazione. Da un lato ogni valutazione ambientale è intrinsecamente conflittuale perché è una analisi tecnica effettuata su componenti ambientali spesso difficilmente comparabili. Non è semplice comparare gli effetti negativi sul paesaggio con quelli positivi sull'occupazione. Pochi vorrebbero una torre eolica dentro il colosseo o sopra la piramide di Keope, anche se fosse economicamente molto vantaggiosa. Più difficile è decidere se accettare un traliccio per l'energia elettrica su un crinale appenninico, in questo caso il vantaggio sociale è evidente e il paesaggio è certamente meno peculiare.
Una componente ignorantemente egoista rimarrà probabilmente sempre e quindi se non si troverà una strada efficace per tenerne conto durante tutte le fasi di sviluppo progettuale, resterà la contrapposizione tra le (talvolta ingiustificate) paure delle popolazioni locali e le sicurezze pregiudizialmente auto-assolutorie dei proponenti. Del resto, imprenditore è colui che valuta correttamente fin dall'inizio tutti gli elementi a favore e contro il proprio progetto.
Bibliografia
- Burningham K., Barnett J. and Thrush D., 2006. The limitations of the NIMBY concept for understanding public engagement with renewable energy technologies: a literature review, published the School of Environment and Development, University of Manchester, Oxford Road, Manchester M13 9PL, UK, and available at http://www.sed.manchester.ac.uk/research/beyond_nimbyism/
- Nimby Forum 2014. IX Edizione Rapporto Nimby Forum. http://www.nimbyforum.it/
- van der Aa B.J.M., P. D. Groote and P.P.P. Huigen. World Heritage as NIMBY? The Case of the Dutch part of the Wadden Sea. Current Issues in Tourism. Volume 7, Issue 4-5, 2004 http://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/13683500408667986#.U70zIfl_txo