Il solare a concentrazione (CSP)
di Gian Andrea Pagnoni
ultima modifica 12/02/2015
Un impianto solare a concentrazione detto anche solare termodinamico o CSP (Concentrated Solar Power), è un impianto per la produzione di calore e di elettricità che sfrutta il principio della concentrazione dell'energia solare. La luce incidente del sole può essere concentrata in spazi ridotti (su un tubo o su una caldaia) mediante specchi piani o concavi, opportunamente disposti, ed è possibile in questo modo ottenere temperature anche molto elevate. A differenza del solare a bassa temperatura il termodinamico è convenzionalmente detto ad alta temperatura quando supera i 280°C (IEA 2009f p17), ma può oggi produrre temperature superiori a 500°C, permettendo la generazione di elettricità e calore per usi industriali.
ultima modifica 12/02/2015
Un impianto solare a concentrazione detto anche solare termodinamico o CSP (Concentrated Solar Power), è un impianto per la produzione di calore e di elettricità che sfrutta il principio della concentrazione dell'energia solare. La luce incidente del sole può essere concentrata in spazi ridotti (su un tubo o su una caldaia) mediante specchi piani o concavi, opportunamente disposti, ed è possibile in questo modo ottenere temperature anche molto elevate. A differenza del solare a bassa temperatura il termodinamico è convenzionalmente detto ad alta temperatura quando supera i 280°C (IEA 2009f p17), ma può oggi produrre temperature superiori a 500°C, permettendo la generazione di elettricità e calore per usi industriali.
Storia del solare a concentrazione
La storia della concentrazione dell'energia solare inizia in modo leggendario con gli specchi ustori che Archimede avrebbe usato per bruciare le navi romane di Marcello che assediarono Siracusa nel 212 a.C. Nel corso della storia, molti scienziati si sono interessati alla questione, tra cui Leonardo, che nel 1489 cercò invano di progettare un macchina per la fusione e la saldatura delle statue in bronzo, ma anche Cartesio (1596-1650), Keplero (1571-1630) e l'allievo di Galileo, Bonaventura Cavalieri (1598-1647). Secondo questi illustri scienziati gli specchi ustori di Archimede sarebbero stati tramandati ai posteri come una bella favola, infatti l'episodio è certamente suggestivo, ma per molti poco credibile sia sul piano delle fonti storiche sia sul piano tecnologico: superare i 300°C (temperatura di autoignizione del legno) è decisamente difficile per la distanza delle navi dalle mura di Siracusa e per la qualità di specchi di cui avrebbe potuto disporre Archimede (Zamparelli 2005a e 2005b).
Il processo per la conversione di energia solare in lavoro utile iniziò solo nel XIX secolo quando Auguste Mouchout, professore di matematica al liceo di Tours (Francia), mosse i suoi primi passi in merito alla sperimentazione di macchine solari spinto da considerazioni termodinamiche sul degrado dell’energia e dalle previsioni di esaurimento delle fonti fossili (carbone) massicciamente utilizzate al suo tempo per alimentare le macchine termiche. I suoi primi esperimenti riguardano la realizzazione di una sorta di alambicco solare, un cilindro nero ricoperto da un involucro di vetro, che utilizzava per distillare il vino in brandy. La stessa tecnica lo portò a brevettare e realizzare, attorno al 1861, la prima caldaia solare in grado di produrre vapore, presentata all’imperatore Napoleone III nel 1866.
Negli anni '70 e '80 del '800, Mouchout e il suo assistente Abel Pifre produssero una serie di macchine per la concentrazione dei raggi solari che andavano da bollitori per cucina a motori solari per il funzionamento di refrigeratori. Il progetto di base era costituito da un concentratore parabolico (specchio) con una caldaia montata nel fuoco, la quale produceva il calore che azionava un motore a vapore simile a quello per i treni.
Nonostante il grande interesse suscitato, tali motori non superarono mai la fase sperimentale a causa della naturale bassa densità della radiazione solare e per la intrinseca bassa efficienza. I suoi esperimenti continuarono, con l’appoggio economico del governo francese, con la realizzazione, nel 1869, di una caldaia composta da tubi e da un concentratore solare metallico a specchio troncoconico; azionando un motore alternativo di circa mezzo cavallo con 80 impulsi al minuto e con pressione di vapore di circa 3 bar, si trattò della prima macchina solare con utilità pratica. Assieme alla macchina solare, Mouchot realizzò un
inseguitore automatico dello specchio nei confronti del sole e pubblicò il trattato “Il calore solare e le sue applicazioni industriali”. Assieme al suo assistente Abel Pifre, partecipò nel 1878 all’esposizione mondiale di Parigi, esponendo un motore solare con uno specchio di circa 4 metri di diametro ed una caldaia di 70 litri di acqua, che produceva vapore a 7 bar di pressione e azionava una macchina per la produzione del ghiaccio.
Inizialmente interessato alla nuova tecnologia, dal 1880 governo francese ridusse gli appoggi in conseguenza dei migliorati rapporti politici con l'Inghilterra e dello sviluppo delle ferrovie che rendevano disponibile carbone a prezzi molto vantaggiosi. Ciononostante, a cavallo tra ’800 e '900, a seguito anche delle prime avvisaglie di crisi energetiche del carbone, vengono depositati numerosi brevetti, specialmente in America, tra cui spiccano quelli di Ericsson, di Eneas e i primi impianti industriali di Shuman.
John Ericsson (1803-1889), un ingegnere svedese che esercitò prevalentemente a New York, partendo dagli esperimenti di Mouchot, brevettò nel 1872 un motore a pistoni alimentato da aria calda ottenuta da uno specchio solare parabolico che era un perfezionamento della macchina di Mouchot. Aubrey Eneas (circa 1860-1920) inventore di origine inglese, ma residente in America a Boston, fondando una apposita società commerciale, progettò e costruì dei concentratori solari troncoconici di notevoli dimensioni (circa 10 metri) vendendone qualche esemplare agli agricoltori della California per azionare pompe idrauliche di irrigazione.
La più importante applicazione degli specchi concentratori solari si deve all’opera di Frank Shuman (1862-1918) inventore autodidatta di Tacony (Filadelfia). Nel 1911 le sue prime realizzazioni a bassa temperatura ed a bassa pressione erano in grado di azionare una pompa che sollevasse 12.000 litri/min di acqua a 10 metri, con una potenza di circa 20 KW e un rendimento stimato del 30%. Nel 1913, grazie ad un grosso finanziamento costruì a Meadi (vicino al Cairo in Egitto) il più grande impianto solare dell’epoca: 5 collettori lineari parabolici larghi 4 m e lunghi 60, per una superficie di 1200 m2, azionavano un motore da 55 cavalli
che forniva l'energia per un impianto di irrigazione con una capacità di pompaggio di 27.000 litri di acqua al minuto. L’impianto funzionava 24 ore al giorno e grazie ad un sistema di accumulo termico ad acqua calda aveva un rendimento del 40%. Fu per l'epoca un’impresa eccezionale che confermò la possibilità tecnica di affrancarsi dai combustibili fossili. Il console generale egiziano lord Horatio Kitchener offrì a Shuman 30.000 acri di terreno per sviluppare un impianto in Sudan, e altre offerte arrivarono da altri stati europei con possedimenti in Africa. Shuman intendeva sviluppare in Africa un centro di produzione di energia per tutta l’Europa sfruttando la nascente tecnologia della corrente alternata, che permetteva trasmissioni a grandi
distanze, anche con elettrodotti sottomarini. Ma lo scoppio della prima guerra mondiale nel 1915 deviò gli interessi tecnologici e politici e quando la guerra finì, la nuova era del petrolio a basso costo inflisse il colpo di grazia ai progetti si Shuman (Zamparelli 2005a).
Il solare a concentrazione cominciò ad essere rivisitato solo nel secondo dopoguerra, quando il chimico francese Felix Trombe (1906-1985), noto per un trattato di speleologia e per gli studi sul comportamento dei metalli ad alta temperatura, costruì nel 1949 un “forno solare” della potenza di 50 chilowatt. Il luogo era Mont Louis, sui Pirenei orientali, nel Sud della Francia, scelti per la disponibilità di 300 giorni di sole l'anno. La radiazione solare era concentrata con un grande specchio parabolico, azionato da un meccanismo per l'inseguimento solare. Nel fuoco dello specchio si raggiungevano temperature altissime con le quali era
possibile osservare le modificazioni e le proprietà dei metalli e dei materiali senza le contaminazioni dei prodotti delle combustioni necessarie per raggiungere le elevate temperature.
I successi scientifici del primo forno solare indussero le autorità francesi a finanziare la costruzione a Odeillo (sempre sui Pirenei), di un secondo forno che, complice la crisi energetica del 1973, attirò l’attenzione dell’ente elettrico francese. Il progetto di forno divenne quindi la centrale Themis, che iniziò ad essere costruita nel 1979 e, nonostante il costo di attuali 45 milioni di euro, funzionò solo dal 1982 al 1986 per problemi tecnici e finanziari.
Sempre nei primi anni '80, in California, nei due siti di Barstow e Mojave venivano sviluppati il Solar 1 e il SEGS (Solar Electricity Generating System). Il Solar 1, una torre solare da 10 MW, negli anni '90 fu rimpiazzato dal Solar 2, il quale utilizzava sali fusi come fluido vettore al posto dell'olio, raggiungendo temperature di funzionamento superiori a 500°C e garantendo anche il funzionamento notturno grazie ad un accumulatore dei sali fusi riscaldati. Il SEGS mise in opera una estesa serie di collettori parabolici lineari (che sostanzialmente erano una implementazione del progetto di Shuman del 1913) per una produzione che variò da 13 ad 80 MW nel momento di massima estensione con una superficie riflettente di 464.000 m2 (Everett 2004).
Tecnologie
Una centrale termica solare è costituita sostanzialmente da un sistema di specchi che concentrano la radiazione solare. Gli impianti possono utilizzare diverse tecnologie che vedremo in dettaglio, ma di fatto sono implementazioni delle seguenti fasi:
Le tecnologie attualmente disponibili sono:
L’eccesso di energia ottenuta dal fluido termovettore nelle ore della giornata a più alto irraggiamento solare viene convogliato in un serbatoio di accumulo, necessario se si vuole supplire ai momenti di scarsa o nulla insolazione (come la notte). Il serbatoio, tipicamente (nel caso di Sali fusi) è un grande contenitore cilindrico di alcune migliaia di m3 di capienza termicamente isolato e in contatto termico con uno scambiatore di calore. I parchi solari possono essere pertanto dimensionati al fine di ottenere un eccesso di energia prodotta durante il giorno che se totalmente accumulata potrebbe garantire la completa continuità del funzionamento della turbina e vi sono ad oggi numerosi progetti in corso che mirano a raggiungere questo obiettivo. Tuttavia il rapporto costi benefici fino ad oggi ha portato con le attuali tecnologie, ha portato a preferire da una parte l’integrazione di tali sistemi con centrali termoelettriche esistenti dall’altra l’operatività discontinua di tali sistemi sebbene prolungata.
Il rendimento di una macchina termica dipende dalla temperatura a cui è disponibile il calore. Con i collettori piani domestici il calore a bassa temperatura del fluido vettore (T1<100°C) viene trasferito ad un fluido (l'acqua sanitaria) che possiede una temperatura T2 uguale a quella dell'ambiente circostante (circa 15°C), il rendimento è circa del 2% (il rendimento massimo teorico per un motore alimentato da calore a 100°C che libera calore alla temperatura media dei mari, 15°C, è del 2,3%).
Con una centrale termoelettrica solare a specchi è possibile ottenere vapore anche a 500°C e quindi una differenza di temperatura elevata che permette di ottenere un rendimento reale del 40%.
Concentratori parabolici lineari
Gli impianti con collettori parabolici lineari, sono di fatto una implementazione del progetto di Shuman del 1913, concentrano la radiazione solare su una tubazione (ricevitore) posta nella linea focale di un cilindro a sezione parabolica (concentratore) con asse longitudinale parallelo al terreno. A causa delle dimensioni e della disposizione della struttura, l'inseguimento solare è su un solo asse, il che riduce leggermente l’input termico disponibile. In tali impianti, la centrale solare ha una struttura modulare ed è costituita da collettori lineari collegati in serie e disposti in file parallele lunghe alcune centinaia di metri. Il fluido vettore, generalmente olio diatermico con una temperatura di esercizio di 390°C, viene pompato attraverso i tubi ricevitori e portato ad una stazione dove il calore viene utilizzato per far funzionare una turbina a vapore per la generazione di corrente.
La tecnologia è fortemente modulare e potrebbe soddisfare esigenze da centinaia di MWe connessi alla rete elettrica, o impianti di pochi MWe per comunità isolate. Sebbene non raggiunga le efficienze di conversione dei dischi parabolici, questa è la tecnologia attualmente più matura per la produzione di energia elettrica da solare termodinamico.
Nel Mojave Desert (California) le prime installazioni sono iniziate negli anni '80 ed è stato sviluppato un progetto denominato SEGS (Solar Electric Generating Systems) che con una potenza di 354 MW è ancora oggi la più grande installazione del mondo. La tecnologia è a collettori parabolici lineari, olio diatermico come fluido vettore e turbina a vapore per la produzione di corrente. L’impianto è in prevalenza solare ma usa a supporto della produzione elettrica anche un ciclo termo elettrico a combustibili fossili. Produce elettricità per circa 500.000 abitanti (fonte). Diverso dal SEG del Mojave Desert, è il Nevada Solar One presso Tucson (Arizona), attivo dal 2007, ha una capacità di 64MW. E' un impianto esclusivamente solare ma non dotato di accumulo termico. In Europa il paese con la maggior produzione di energia da termodinamico è la Spagna che attualmente ha numerosi impianti in esercizio per un totale di 300 MW di potenza, più di 800 già istallati, e circa 1500 in costruzione, ma si stanno sviluppando progetti per 14.000MW (Maccari e Carlizzi 2009).
Torri solari
Gli impianti a torre sono costituiti da una serie di specchi piani (eliostati) che inseguono il movimento solare sui due assi di rotazione (orizzontale e verticale) e concentrano l’energia in un ricevitore montato sulla sommità di una torre. Gli eliostati sono dislocati in modo da circondare completamente la torre oppure sono posti ad emiciclo nell’area della torre opposta alla posizione del sole nella volta celeste, e sono tra loro distanziati per evitare fenomeni di ombreggiamento, con una distanza che aumenta allontanandosi dalla torre stessa. L’altezza rispetto al suolo del punto focale dipende dall’estensione del campo di eliostati e può raggiungere alcune centinaia di metri (Maccari e Carlizzi 2009). I principali miglioramenti introdotti in questo tipo di impianti rispetto a quelli a collettori lineari sono:
l'altezza della torre dipende dall'estensione del campo di specchi che è proporzionale alla potenza dell'impianto, per ricevere l’energia riflessa dalla periferia del campo la torre deve essere alta e molti progetti con potenza di qualche decina di MW prevedono torri di 200 metri con possibilità di interferenze con il volo aereo e con il paesaggio;
gli specchi periferici, per non farsi ombra, devono essere posizionati a maggiore distanza tra loro, il che comporta un'ampia occupazione di terreno;
il ricevitore posto a centinaia di metri di distanza dagli specchi determina difficoltà nella concentrazione della radiazione solare, mentre la distanza focale dei sistemi a collettori parabolici lineari è inferiore a due metri1.
Numerosi progetti sperimentali siano stati implementati da anni (Solar One e Solar Two negli Stati Uniti, PS10 e PS20 in Spagna), la tecnologia ha ormai superato la fase dimostrativa a livello di prototipo industriale, ma non è ancora giunta alla fase di maturità commerciale.
La storia della concentrazione dell'energia solare inizia in modo leggendario con gli specchi ustori che Archimede avrebbe usato per bruciare le navi romane di Marcello che assediarono Siracusa nel 212 a.C. Nel corso della storia, molti scienziati si sono interessati alla questione, tra cui Leonardo, che nel 1489 cercò invano di progettare un macchina per la fusione e la saldatura delle statue in bronzo, ma anche Cartesio (1596-1650), Keplero (1571-1630) e l'allievo di Galileo, Bonaventura Cavalieri (1598-1647). Secondo questi illustri scienziati gli specchi ustori di Archimede sarebbero stati tramandati ai posteri come una bella favola, infatti l'episodio è certamente suggestivo, ma per molti poco credibile sia sul piano delle fonti storiche sia sul piano tecnologico: superare i 300°C (temperatura di autoignizione del legno) è decisamente difficile per la distanza delle navi dalle mura di Siracusa e per la qualità di specchi di cui avrebbe potuto disporre Archimede (Zamparelli 2005a e 2005b).
Il processo per la conversione di energia solare in lavoro utile iniziò solo nel XIX secolo quando Auguste Mouchout, professore di matematica al liceo di Tours (Francia), mosse i suoi primi passi in merito alla sperimentazione di macchine solari spinto da considerazioni termodinamiche sul degrado dell’energia e dalle previsioni di esaurimento delle fonti fossili (carbone) massicciamente utilizzate al suo tempo per alimentare le macchine termiche. I suoi primi esperimenti riguardano la realizzazione di una sorta di alambicco solare, un cilindro nero ricoperto da un involucro di vetro, che utilizzava per distillare il vino in brandy. La stessa tecnica lo portò a brevettare e realizzare, attorno al 1861, la prima caldaia solare in grado di produrre vapore, presentata all’imperatore Napoleone III nel 1866.
Negli anni '70 e '80 del '800, Mouchout e il suo assistente Abel Pifre produssero una serie di macchine per la concentrazione dei raggi solari che andavano da bollitori per cucina a motori solari per il funzionamento di refrigeratori. Il progetto di base era costituito da un concentratore parabolico (specchio) con una caldaia montata nel fuoco, la quale produceva il calore che azionava un motore a vapore simile a quello per i treni.
Nonostante il grande interesse suscitato, tali motori non superarono mai la fase sperimentale a causa della naturale bassa densità della radiazione solare e per la intrinseca bassa efficienza. I suoi esperimenti continuarono, con l’appoggio economico del governo francese, con la realizzazione, nel 1869, di una caldaia composta da tubi e da un concentratore solare metallico a specchio troncoconico; azionando un motore alternativo di circa mezzo cavallo con 80 impulsi al minuto e con pressione di vapore di circa 3 bar, si trattò della prima macchina solare con utilità pratica. Assieme alla macchina solare, Mouchot realizzò un
inseguitore automatico dello specchio nei confronti del sole e pubblicò il trattato “Il calore solare e le sue applicazioni industriali”. Assieme al suo assistente Abel Pifre, partecipò nel 1878 all’esposizione mondiale di Parigi, esponendo un motore solare con uno specchio di circa 4 metri di diametro ed una caldaia di 70 litri di acqua, che produceva vapore a 7 bar di pressione e azionava una macchina per la produzione del ghiaccio.
Inizialmente interessato alla nuova tecnologia, dal 1880 governo francese ridusse gli appoggi in conseguenza dei migliorati rapporti politici con l'Inghilterra e dello sviluppo delle ferrovie che rendevano disponibile carbone a prezzi molto vantaggiosi. Ciononostante, a cavallo tra ’800 e '900, a seguito anche delle prime avvisaglie di crisi energetiche del carbone, vengono depositati numerosi brevetti, specialmente in America, tra cui spiccano quelli di Ericsson, di Eneas e i primi impianti industriali di Shuman.
John Ericsson (1803-1889), un ingegnere svedese che esercitò prevalentemente a New York, partendo dagli esperimenti di Mouchot, brevettò nel 1872 un motore a pistoni alimentato da aria calda ottenuta da uno specchio solare parabolico che era un perfezionamento della macchina di Mouchot. Aubrey Eneas (circa 1860-1920) inventore di origine inglese, ma residente in America a Boston, fondando una apposita società commerciale, progettò e costruì dei concentratori solari troncoconici di notevoli dimensioni (circa 10 metri) vendendone qualche esemplare agli agricoltori della California per azionare pompe idrauliche di irrigazione.
La più importante applicazione degli specchi concentratori solari si deve all’opera di Frank Shuman (1862-1918) inventore autodidatta di Tacony (Filadelfia). Nel 1911 le sue prime realizzazioni a bassa temperatura ed a bassa pressione erano in grado di azionare una pompa che sollevasse 12.000 litri/min di acqua a 10 metri, con una potenza di circa 20 KW e un rendimento stimato del 30%. Nel 1913, grazie ad un grosso finanziamento costruì a Meadi (vicino al Cairo in Egitto) il più grande impianto solare dell’epoca: 5 collettori lineari parabolici larghi 4 m e lunghi 60, per una superficie di 1200 m2, azionavano un motore da 55 cavalli
che forniva l'energia per un impianto di irrigazione con una capacità di pompaggio di 27.000 litri di acqua al minuto. L’impianto funzionava 24 ore al giorno e grazie ad un sistema di accumulo termico ad acqua calda aveva un rendimento del 40%. Fu per l'epoca un’impresa eccezionale che confermò la possibilità tecnica di affrancarsi dai combustibili fossili. Il console generale egiziano lord Horatio Kitchener offrì a Shuman 30.000 acri di terreno per sviluppare un impianto in Sudan, e altre offerte arrivarono da altri stati europei con possedimenti in Africa. Shuman intendeva sviluppare in Africa un centro di produzione di energia per tutta l’Europa sfruttando la nascente tecnologia della corrente alternata, che permetteva trasmissioni a grandi
distanze, anche con elettrodotti sottomarini. Ma lo scoppio della prima guerra mondiale nel 1915 deviò gli interessi tecnologici e politici e quando la guerra finì, la nuova era del petrolio a basso costo inflisse il colpo di grazia ai progetti si Shuman (Zamparelli 2005a).
Il solare a concentrazione cominciò ad essere rivisitato solo nel secondo dopoguerra, quando il chimico francese Felix Trombe (1906-1985), noto per un trattato di speleologia e per gli studi sul comportamento dei metalli ad alta temperatura, costruì nel 1949 un “forno solare” della potenza di 50 chilowatt. Il luogo era Mont Louis, sui Pirenei orientali, nel Sud della Francia, scelti per la disponibilità di 300 giorni di sole l'anno. La radiazione solare era concentrata con un grande specchio parabolico, azionato da un meccanismo per l'inseguimento solare. Nel fuoco dello specchio si raggiungevano temperature altissime con le quali era
possibile osservare le modificazioni e le proprietà dei metalli e dei materiali senza le contaminazioni dei prodotti delle combustioni necessarie per raggiungere le elevate temperature.
I successi scientifici del primo forno solare indussero le autorità francesi a finanziare la costruzione a Odeillo (sempre sui Pirenei), di un secondo forno che, complice la crisi energetica del 1973, attirò l’attenzione dell’ente elettrico francese. Il progetto di forno divenne quindi la centrale Themis, che iniziò ad essere costruita nel 1979 e, nonostante il costo di attuali 45 milioni di euro, funzionò solo dal 1982 al 1986 per problemi tecnici e finanziari.
Sempre nei primi anni '80, in California, nei due siti di Barstow e Mojave venivano sviluppati il Solar 1 e il SEGS (Solar Electricity Generating System). Il Solar 1, una torre solare da 10 MW, negli anni '90 fu rimpiazzato dal Solar 2, il quale utilizzava sali fusi come fluido vettore al posto dell'olio, raggiungendo temperature di funzionamento superiori a 500°C e garantendo anche il funzionamento notturno grazie ad un accumulatore dei sali fusi riscaldati. Il SEGS mise in opera una estesa serie di collettori parabolici lineari (che sostanzialmente erano una implementazione del progetto di Shuman del 1913) per una produzione che variò da 13 ad 80 MW nel momento di massima estensione con una superficie riflettente di 464.000 m2 (Everett 2004).
Tecnologie
Una centrale termica solare è costituita sostanzialmente da un sistema di specchi che concentrano la radiazione solare. Gli impianti possono utilizzare diverse tecnologie che vedremo in dettaglio, ma di fatto sono implementazioni delle seguenti fasi:
- raccolta e concentrazione della radiazione solare;
- conversione della radiazione solare in energia termica;
- trasporto ed eventuale accumulo dell’energia termica;
- conversione dell’energia termica in energia elettrica da parte di un motore.
Le tecnologie attualmente disponibili sono:
- concentratori/collettori parabolici lineari (parabolic linear concentrator/collector o linear troughs);
- concentratori/collettori lineari Fresnel (Fresnel linear collector);
- torre solare (solar tower);
- concentratori/collettori a dischi parabolici (parabolic dish concentrator/collector).
- olio diatermico, per temperature fino a 400°C come nelle centrali di 1a generazione;
- una miscela di sali (soprattutto nitrato di sodio e nitrato di potassio) che fondono alle temperature di superiori a 150°C e rimangono fusi (per questo detti “sali fusi”) consentono di raggiungere temperature fino a 550°C
- acqua, ancora in fase sperimentale, per temperature fino a 450°C e pressioni di 100 bar che vaporizza nell’assorbitore e viene inviata direttamente in turbina.
L’eccesso di energia ottenuta dal fluido termovettore nelle ore della giornata a più alto irraggiamento solare viene convogliato in un serbatoio di accumulo, necessario se si vuole supplire ai momenti di scarsa o nulla insolazione (come la notte). Il serbatoio, tipicamente (nel caso di Sali fusi) è un grande contenitore cilindrico di alcune migliaia di m3 di capienza termicamente isolato e in contatto termico con uno scambiatore di calore. I parchi solari possono essere pertanto dimensionati al fine di ottenere un eccesso di energia prodotta durante il giorno che se totalmente accumulata potrebbe garantire la completa continuità del funzionamento della turbina e vi sono ad oggi numerosi progetti in corso che mirano a raggiungere questo obiettivo. Tuttavia il rapporto costi benefici fino ad oggi ha portato con le attuali tecnologie, ha portato a preferire da una parte l’integrazione di tali sistemi con centrali termoelettriche esistenti dall’altra l’operatività discontinua di tali sistemi sebbene prolungata.
Il rendimento di una macchina termica dipende dalla temperatura a cui è disponibile il calore. Con i collettori piani domestici il calore a bassa temperatura del fluido vettore (T1<100°C) viene trasferito ad un fluido (l'acqua sanitaria) che possiede una temperatura T2 uguale a quella dell'ambiente circostante (circa 15°C), il rendimento è circa del 2% (il rendimento massimo teorico per un motore alimentato da calore a 100°C che libera calore alla temperatura media dei mari, 15°C, è del 2,3%).
Con una centrale termoelettrica solare a specchi è possibile ottenere vapore anche a 500°C e quindi una differenza di temperatura elevata che permette di ottenere un rendimento reale del 40%.
Concentratori parabolici lineari
Gli impianti con collettori parabolici lineari, sono di fatto una implementazione del progetto di Shuman del 1913, concentrano la radiazione solare su una tubazione (ricevitore) posta nella linea focale di un cilindro a sezione parabolica (concentratore) con asse longitudinale parallelo al terreno. A causa delle dimensioni e della disposizione della struttura, l'inseguimento solare è su un solo asse, il che riduce leggermente l’input termico disponibile. In tali impianti, la centrale solare ha una struttura modulare ed è costituita da collettori lineari collegati in serie e disposti in file parallele lunghe alcune centinaia di metri. Il fluido vettore, generalmente olio diatermico con una temperatura di esercizio di 390°C, viene pompato attraverso i tubi ricevitori e portato ad una stazione dove il calore viene utilizzato per far funzionare una turbina a vapore per la generazione di corrente.
La tecnologia è fortemente modulare e potrebbe soddisfare esigenze da centinaia di MWe connessi alla rete elettrica, o impianti di pochi MWe per comunità isolate. Sebbene non raggiunga le efficienze di conversione dei dischi parabolici, questa è la tecnologia attualmente più matura per la produzione di energia elettrica da solare termodinamico.
Nel Mojave Desert (California) le prime installazioni sono iniziate negli anni '80 ed è stato sviluppato un progetto denominato SEGS (Solar Electric Generating Systems) che con una potenza di 354 MW è ancora oggi la più grande installazione del mondo. La tecnologia è a collettori parabolici lineari, olio diatermico come fluido vettore e turbina a vapore per la produzione di corrente. L’impianto è in prevalenza solare ma usa a supporto della produzione elettrica anche un ciclo termo elettrico a combustibili fossili. Produce elettricità per circa 500.000 abitanti (fonte). Diverso dal SEG del Mojave Desert, è il Nevada Solar One presso Tucson (Arizona), attivo dal 2007, ha una capacità di 64MW. E' un impianto esclusivamente solare ma non dotato di accumulo termico. In Europa il paese con la maggior produzione di energia da termodinamico è la Spagna che attualmente ha numerosi impianti in esercizio per un totale di 300 MW di potenza, più di 800 già istallati, e circa 1500 in costruzione, ma si stanno sviluppando progetti per 14.000MW (Maccari e Carlizzi 2009).
Torri solari
Gli impianti a torre sono costituiti da una serie di specchi piani (eliostati) che inseguono il movimento solare sui due assi di rotazione (orizzontale e verticale) e concentrano l’energia in un ricevitore montato sulla sommità di una torre. Gli eliostati sono dislocati in modo da circondare completamente la torre oppure sono posti ad emiciclo nell’area della torre opposta alla posizione del sole nella volta celeste, e sono tra loro distanziati per evitare fenomeni di ombreggiamento, con una distanza che aumenta allontanandosi dalla torre stessa. L’altezza rispetto al suolo del punto focale dipende dall’estensione del campo di eliostati e può raggiungere alcune centinaia di metri (Maccari e Carlizzi 2009). I principali miglioramenti introdotti in questo tipo di impianti rispetto a quelli a collettori lineari sono:
- l’utilizzo di sali fusi come fluido vettore permette di raggiungere temperature di oltre 550°C con maggiori rendimenti rispetto agli impianti lineari;
- il minore impatto potenziale dei sali fusi, che sono composti non infiammabili ne non tossici utilizzati normalmente come fertilizzanti;
- l’utilizzo di un accumulo termico per ovviare alle variazioni giornaliere dell'intensità Solare che utilizza direttamente il fluido di processo con una semplificazione evidente del sistema impiantistico e una continuità di produzione che, nel periodo estivo, arriva a 24h e porta al 65% il fattore di utilizzo annuale dell’impianto.
l'altezza della torre dipende dall'estensione del campo di specchi che è proporzionale alla potenza dell'impianto, per ricevere l’energia riflessa dalla periferia del campo la torre deve essere alta e molti progetti con potenza di qualche decina di MW prevedono torri di 200 metri con possibilità di interferenze con il volo aereo e con il paesaggio;
gli specchi periferici, per non farsi ombra, devono essere posizionati a maggiore distanza tra loro, il che comporta un'ampia occupazione di terreno;
il ricevitore posto a centinaia di metri di distanza dagli specchi determina difficoltà nella concentrazione della radiazione solare, mentre la distanza focale dei sistemi a collettori parabolici lineari è inferiore a due metri1.
Numerosi progetti sperimentali siano stati implementati da anni (Solar One e Solar Two negli Stati Uniti, PS10 e PS20 in Spagna), la tecnologia ha ormai superato la fase dimostrativa a livello di prototipo industriale, ma non è ancora giunta alla fase di maturità commerciale.
Concentratori lineari Fresnel
Una semplificazione degli impianti lineari parabolici è il sistema Fresnel, nei quali la parabola è segmentata in diverse file di specchi molto più stretti, con dimensioni variabili di 0,5-1,5m posizionati in piano e movimentati da un sistema di rotazione monoassiale che partendo da angoli di posizionamento diversi per ogni fila di specchi permette di focalizzare i raggi sul tubo assorbitore lineare fisso posto qualche metro di altezza rispetto le superfici captanti; gli specchi hanno una la leggera curvatura imposta elasticamente dalla struttura portante degli stessi. Per evitare la dispersione della luce riflessa dalla superficie primaria, una superficie secondaria viene posta al di sopra del tubo assorbitore per riconcentrare i raggi.
La presenza di un tubo assorbitore non solidale con gli specchi, e quindi fisso permette una certa flessibilità delle condizioni di processo in termini di resistenza alle pressioni e temperature, per cui permette di utilizzare qualunque fluido termovettore fino a temperature di 550°C come nel caso di sali fusi. Tuttavia gli impianti ad oggi esistenti utilizzano acqua come fluido termovettore che viene evaporata e a volte surriscaldata direttamente nel campo solare. Ciò permette di inviare direttamente in turbina il vapore prodotto nel campo solare senza l’utilizzo di scambiatori secondari semplificando notevolmente il power block. Il sistema è modulare, per cui si possono realizzare impianti di decine o centinaia di MW.
Altra caratteristica di questi sistemi è che la superficie irraggiata non è mai costante nelle varie ore del giorno e questo incide sull’efficienza ottica (valore medio annuo di circa 45% contro i 50% del parabolico) e sul fattore di concentrazione (variabile da 1:100 a 1:30). Nonostante la minore efficienza questa tecnologia è decisamente competitiva in termini di vantaggio tecnologico sia di prospettive economiche.
I componenti per quanto riguarda la costruzione possono essere molto semplici (superfici riflettenti quasi piane per cui facilmente realizzabili con buone precisioni), il meccanismo di supporto è fatto da assi continui su cui ruotano gli specchi e deve reggere una struttura significativamente più leggera se comparata a quella delle altre tecnologie. Per questo motivo l’intero sistema è molto più resistente al vento, per cui non necessita di fondamenta o di strutture portanti particolarmente robuste e le sue istallazioni possono anche essere previste in zone abbastanza ventose anche in accoppiamento con turbine eoliche che ancor più innalzano il coefficiente di energia prodotta specifica per m2 ovvero maggiore efficienza di sfruttamento dell’area. Gli specchi sono poco distanziati tra di loro a causa dei bassi livelli di ombreggiamento e la superficie occupata risulta pertanto sensibilmente inferiore rispetto alle altre tecnologie (fattore di utilizzo del terreno 1:2).
Grazie ai semplici metodi descritti, i costi di investimento e manutenzione sono significativamente contenuti. Tuttavia, essendo impianti in fase di sviluppo, ulteriori miglioramenti possono essere ottenuti nello sviluppo di materiali per le superfici riflettenti e per il tubo assorbitore, nell’ottimizzazione dei parametri di dimensionamento dell’impianto al fine di incrementarne l’efficienza, anche attraverso un’ottimizzazione del sistema di inseguimento solare e movimentazione specchi.
Ad oggi esistono ancora pochi impianti Fresnel, e tutti di piccola taglia. La società Australiana AUSRA, dopo la prima realizzazione di un impianto dimostrativo da 1 MW in California, poi raddoppiato di taglia, sta portando avanti un progetto per la realizzazione di un impianto da 177 MW, sempre nel deserto californiano. Il secondo sviluppatore al mondo di tale tecnologia è la tedesca Novatec Biosol, con un impianto da 1,4 MW e uno da 30MW in Spagna (http://www.novatecsolar.com/8-1-Projects.html).
Concentratori a dischi parabolici
Forme più o meno paraboliche sono attualmente adottate nelle cosiddette cucine solari, diffuse con alterne vicende in alcuni paesi del terzo mondo come soluzione alla carenza di fonti energetiche. La forma ideale del concentratore per la più efficiente riflessione dei raggi luminosi non è una porzione di sfera, ma un paraboloide di rotazione (il paraboloide di rotazione è una figura geometrica a tre dimensioni ottenuta facendo ruotare una parabola attorno alla bisettrice). Dato che costruire specchi sferici è tecnologicamente più economico, alcuni concentratori di grandi dimensioni approssimano la forma geometrica del paraboloide utilizzando un insieme di specchi (più piccoli e con profilo sferico) montati su una struttura di supporto.
Il sistema di concentrazione si basa su specchi compositi, formato cioè da numerosi elementi (piani o sferici) singolarmente indirizzati sul ricevitore che (diversamente dagli impianti a torre) è posto a breve distanza, determina un fuoco ridotto e quindi un maggiore rapporto di concentrazione. Inoltre, similmente agli impianti a torre, ma diversamente dagli impianti a collettori lineari, gli impianti a dischi sfruttano la concentrazione dei raggi solari con un doppio inseguimento, ovvero uno spostamento dello specchio sia in orizzontale che in verticale, in modo che lo specchio sia sempre perfettamente allineato con il sole. Il motore è generalmente posto nel fuoco e può essere a vapore o Stirling (il motore Stirling deve il suo nome a Robert Stirling che lo inventò nel 1816, è un motore a combustione esterna in cui il movimento del pistone è conseguente all'espansione e compressione dei gas caldi e freddi). Il primo ha alcune difficoltà operative quando le temperature di esercizio superano i 700°C, mentre il secondo, dotato di appositi materiali, può essere operativo con temperature fino a 1000°C (Everett 2004, p 56). Questa tecnologia raggiunge così più alti fattori di concentrazione, maggiori temperature di utilizzo e quindi rendimenti di conversione superiori a tutte le altre tecnologie solari (attualmente al 30% circa). A titolo di esempio un concentratore di 10 m di diametro con una radiazione solare diretta di 1.000 W/m2 è in grado di erogare circa 25 kWe. Per ragioni strutturali ed economiche la dimensione del concentratore non va oltre i 20 m di diametro limitando quindi la sua potenza a circa 25-50 kWe.
Dato che la pesantezza delle strutture (in particolare gli specchi) è uno dei fattori limitanti, la ricerca sta sviluppando nuovi pannelli riflettenti. Si stanno sperimentando, al posto degli specchi in vetro, fogli circolari ricoperti da un film plastico alluminato, e superfici di alluminio altamente riflettenti che formano una struttura molto leggera che non necessita di sostegni di grandi dimensioni (Everett 2004, p 56). Tuttavia esistono solo poche applicazioni industriali e ulteriore sperimentazione va ancora effettuata per migliorare l’efficienza e la resistenza di tali componenti. Oggi, la fornace a dischi parabolici di Odeillo (Pirenei francesi), con una potenza di 1 MW, è il forno solare più potente al mondo assieme a quello di Tachkent in Uzbekistan.
Il progetto Archimede
L'idea di sviluppare il solare termodinamico è stata fortemente sostenuta dal fisico Carlo Rubbia durante il periodo della sua presidenza dell'ENEA e il 31 agosto 2001 è stato presentato al Ministero delle Attività Produttive il progetto di massima del Programma Solare termico ad alta temperatura (art. 111 della legge finanziaria 2001). Il programma di ricerca è basato sulla innovazione tecnologica e prevede la realizzazione di circuiti sperimentali presso alcuni Centri di Ricerca ENEA e di un impianto dimostrativo.
Completata la fase di sperimentazione la centrale solare termodinamica Archimede è stata inaugurata il 15 luglio 2010 a Priolo Gargallo (SR), in Italia presso la Centrale Elettrica ENEL Archimede. Il sistema progettato dall'ENEA può essere sintetizzato come segue:
- geometria parabolica lineare;
- fluido termo-vettore a sali fusi (60% di nitrato di sodio e 40% di nitrato di potassio);
- temperatura di normale funzionamento dell’impianto: 270 – 550°C;
- massimo potere termico: 5 MW.
Bilanci e prospettive del solare a concentrazione
La tecnologia è allo stadio sperimentale, i singoli impianti benché alcuni dell’ordine di alcune decine di MW, sono ancora prototipi, i costi tecnologici sono ancora alti ed è praticamente insignificante nel mix energetico della produzione primaria (< 0,1% del totale). E' infatti una tecnologia utilizzabile commercialmente solo se integrata con altre tecnologie di produzione energetica (in generale con centrali termoelettriche convenzionali). Il potenziale teorico nei paesi dell'area tropicale è notevole e nel medio termine garantire un contributo significativo al fabbisogno mondiale di elettricità e idrogeno con cicli completamente rinnovabili e a costi competitivi.
I principali vantaggi ella tecnologia:
- la modularità, ovvero la possibilità di aumentare la potenza semplicemente inserendo altri concentratori;
- la relativa semplicità progettuale dato che, a differenza delle grandi centrali termoelettriche (per non parlare del nucleare) un impianto può essere realizzato in circa tre anni e la sua vita attesa è di 25-30 anni, facilmente aumentabile con successive modifiche e miglioramenti;
- una volta che i sistemi di captazione e accumulo dell'energia solare verranno prodotti su scala sufficientemente grande, la produzione di calore ad alta temperatura (550 °C) potrà essere fatta, in località a elevata insolazione, ad un costo competitivo con quello previsto per il gas naturale e il petrolio e addirittura tra qualche anno più vantaggioso se si pensa che il costo dei combustibili fossili è in arrestabile ascesa;
- diversamente dal solare fotovoltaico e dall'eolico, in cui la produzione di energia dipende dalla intermittenza della fonte, il solare termodinamico può facilmente essere accoppiato ad tecnologie di accumulo energetico. Infatti dato che il picco di richiesta elettrica è generalmente nelle ore pomeridiane-serali (quindi ritardato di circa 6 ore rispetto al picco di irraggiamento solare) gli accumulatori permettono il funzionamento anche durante il periodo notturno e portano le “ore equivalenti annue di funzionamento” dalle 1.500 alle 2.000-4.000 ore (Falchetta 2006);
- diversi paesi poveri dotati di elevate insolazioni potrebbero affrancarsi dalla dipendenza energetica ed anzi diventare esportatori;
- lo smantellamento finale dell'impianto è semplice ed economico.
Già nel 1914 Frank Shuman aveva progetti di sviluppo nel Sahara per 50.000 km2 (Everett 2004 p61). Secondo il premio Nobel Carlo Rubbia per produrre l'energia globale derivata dal petrolio con il solare termodinamico sarebbe sufficiente un impianto di 40 mila km² (200km per ogni lato), il che equivale allo 0,1 per cento delle zone desertiche tropicali del pianeta. Per rifornire di elettricità un terzo dell'Italia, basterebbe un anello solare grande come il raccordo di Roma. Attualmente la maggior parte dell'elettricità mondiale da solare termodinamico viene prodotta a Kramer Junction nel Mohave desert in California, ma nei prossimi anni sulla base dei progetti che ad oggi sono in costruzione sia in america, sia nei paesi che si affacciano sul mediterraneo, la quantità di energia prodotta seguirà la curva evolutiva che negli anni hanno avuto altre tecnologie rinnovabili promettenti come l’eolico e il solare fotovoltaico, ovvero con un tasso di crescita che si raddoppia ogni 3 anni.
Per quanto riguarda l'Europa, i Paesi che si affacciano sulla sponda sud del Mediterraneo e del vicino Oriente dispongono di grandi potenzialità: la forte insolazione e la presenza di vaste aree adatte all’installazione di impianti solari a concentrazione fanno prevedere costi di produzione dell’energia notevolmente inferiori rispetto a quanto conseguibile nel resto d'Europa. Questo ha portato a un recente interesse da parte di Paesi con forte vocazione tecnologica, quali la Germania, a proporsi come candidati ad ambiziosi piani di sviluppo in collaborazione con i Paesi dell’area mediterranea e mediorientale. DESERTEC è un progetto di una rete di centrali elettriche e infrastrutture finalizzate alla produzione e alla distribuzione in Europa, Nord Africa e Medio Oriente, di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili (in particolare energia solare prodotta nei deserti del Sahara e del Medio Oriente ed energia eolica prodotta sulle coste atlantiche). Il principale fattore limitante del progetto DESERTEC sono le condizioni geopolitiche dei paesi africani.
Il trend è positivo con una capacità totale installata 10 volte superiore al 2004 (circa 3.500 MW nel 2013), ma essendo una tecnologia meno matura del solare fotovoltaico il suo sviluppo è in parte minacciato dal notevole sviluppo del fotovoltaico, fonte molto incentivata negli ultimi anni.