La Valutazione Ambientale: storia e diritto
di Gian Andrea Pagnoni
ultima modifica 3/07/2014
ultima modifica 3/07/2014
Il concetto di Valutazione Ambientale (Environmental Assessment) non è recente è piuttosto vecchio, ma i parametri di riferimento variano con il cambiare dei tempi, con il mutare dei bisogni, delle problematiche e dei valori ritenuti importanti dalla società nel periodo storico di riferimento. Per questo motivo, sebbene la filosofia di Valutazione Ambientale sia sostanzialmente rimasta invariata nel tempo, più ci si avvicina all'epoca moderna più l'esperienza della Valutazione Ambientale si caratterizza per la maggiore complessità dell’approccio e del processo.
Sebbene diversi paesi industrializzati introdussero controlli ambientali fin dal '800, il diritto ambientale ha cominciato a svilupparsi, come branca a se stante del diritto, dagli anni '60 del '900. In Nord America ed Europa le prime norme sull'ambiente tendevano a seguire il tradizionale approccio command and control, una forma di regolamentazione detta anche top-down (dall'alto al basso) basata su una visione della protezione ambientale centralizzata sullo stato: un governo generalmente stabilisce livelli e standard di inquinamento e permette ai cittadini di avere "licenze" di utilizzo di questi standard. Chi inquina, ovvero esce dalle regole, può essere perseguito penalmente o civilmente. Anche se l'approccio command and control è spesso necessario, ha dei limiti intrinseci perché: a) ha difficoltà a gestire sistemi complessi, b) non risponde adeguatamente a problemi ambientali di ambito pubblico, c) spesso non tiene presente i costi economici, d) si appoggia a regolamenti spesso inefficienti o sotto finanziati. Per questo c'è stato un crescente interesse verso approcci più riflessivi nei confronti della tutela ambientale, ad es. leggi e politiche che incoraggino l'autoregolamentazione (Heinelt et. al 2001).
Nei prossimi paragrafi vediamo come è cambiato nel tempo il concetto e l'approccio della valutazione ambientale.
Gli albori
Un momento importante nello sviluppo del concetto e delle procedure di Valutazione Ambientale si ha quando, nel 1548, in Gran Bretagna, venne costituita una Commissione per esaminare gli effetti che la costruzione di fornaci nel Sussex e nel Kent avrebbe avuto sull’economia della regione. In questo caso, parametro di valutazione non erano i valori e gli interessi di tutela ambientale (che solo negli ultimi decenni del '900 hanno acquisito un peso rilevante nella definizione degli obiettivi di politica), quanto i costi e i vantaggi più specificamente economici e sociali (es. costo del materiale, prezzo del ferro, incremento dei posti di lavoro). Ciononostante, già in quella circostanza le modalità con cui la Commissione si trovò ad operare erano molto simili a quelle odierne, infatti la natura essenzialmente tecnica della Commissione, il coinvolgimento del pubblico in forma associata, la previsione di misure volte a contrastare gli effetti negativi che l’implementazione delle fornaci avrebbe causato, sono esempi di principi già allora riconosciuti fondamentali (Fortlage 1990).
E' evidente in questo caso che l'aspetto fondamentale della valutazione era l'economia, mentre la considerazione della componente ambientale nel processo di valutazione degli effetti causati dall’implementazione di una determinata manifestazione di ‘sviluppo’ è un fenomeno relativamente recente che ha cominciato a concretizzarsi soltanto nel momento in cui l’opinione pubblica e il mondo politico sono stati costretti a prendere atto delle gravi condizioni dell’ambiente e a fronteggiare la minaccia dell’esaurimento delle risorse naturali. Sottolineando il fatto che questa presa di coscienza è avvenuta su due fronti, l’opinione pubblica e il mondo politico, e che questi due fronti si sono reciprocamente influenzati e condizionati, si può ritenere che la prima spinta a sollevare l’attenzione sul problema ambientale sia venuta dall’opera di alcuni autori che a partire dagli anni Sessanta, rispolverando le tematiche ambientaliste di scrittori e filosofi come Walt Whitman e Ralph Waldo Emerson negli USA e William Morris in Europa e anticipando gli odierni movimenti ecologisti, hanno contribuito a sviluppare l’interesse e la preoccupazione dell’opinione pubblica su questioni quali il consumo delle risorse naturali, l’inquinamento ambientale e, per i suoi effetti sulla salute umana, l’introduzione di sostanze chimiche potenzialmente tossiche nei processi produttivi agricoli (Per una più estesa relazione su quello che è stato definito il “rise of environmentalism” si veda W. Sheate, Making an Impact. Tra le opere cui si fa riferimento nel testo, ricordiamo Rachel Carson, Silent Spring, 1963; Garret Hardin, Tragedy of the Commons, 1968; il Report del Club of Rome, The Limits of Growth, 1972).
O’Riordan identifica quattro motivazioni che spiegano la nascita della Valutazione Ambientale tra gli anni '60 e '70:
- le maggiori conoscenze scientifiche e la pubblicità hanno consentito una larga diffusione delle notizie relative ai danni ambientali prodotti dall’incremento dello sviluppo e delle attività tecnologiche;
- la diffusione delle attività dei gruppi di pressione sull’opinione pubblica e sulle forze di governo, prima di tutto negli USA e nel Regno Unito grazie anche al sostegno dei media che hanno consentito di portare alla luce nuovi temi ambientali, come la minaccia del nucleare e la lotta alla caccia e all’estinzione delle balene;
- il massiccio incremento nell’impiego di certe risorse e dalla previsione di scenari preoccupanti relativamente al ridursi della capacità di riproduzione di determinate risorse (i settori che suscitavano maggiore preoccupazione erano quello energetico, con la crisi petrolifera degli anni Settanta, il settore minerario e le risorse forestali);
- l'insieme dei precedenti fattori, che hanno contribuito a rendere gli Stati sviluppati occidentali più attenti nel rispondere alle pressioni dell’opinione pubblica, portando quindi ad un dibattito acceso ed integrato sui temi indicati.
La formalizzazione della Valutazione Ambientale
Il 31 dicembre 1969 viene adottato negli Stati Uniti il National Environmental Policy Act (NEPA), l'atto con il quale viene tradizionalmente indicata la nascita della ‘moderna’ valutazione ambientale (sia nella forma semplice che in quella strategica, visto che l’atto si riferisce anche alle proposte di legge). La section 102 del NEPA, oltre ad obbligare le amministrazioni federali a prendere in considerazione per le loro attività di pianificazione e decisione tutte le conoscenze disponibili per verificare le ripercussioni che dette attività possono avere sull’ambiente ed a sviluppare adeguate metodologie e procedure che assicurino la considerazione degli aspetti ambientali accanto a quelli tecnici ed conomici, instaura un meccanismo penetrante che incide in modo sostanziale nel processo decisionale delle stesse amministrazioni costringendole ad introiettare a fianco delle loro finalità istituzionali, anche valori di ordine ambientale. L'istituto giuridico del NEPA diventa operativo nel 1970 con l’istituzione del Council for Environmental Quality (CEQ) e dell'Environmental Protection Agency (EPA con un ruolo amministrativo di controllo). Il CEQ è un organo di consulenza e coordinamento composto da 3 membri e un presidente e affiancato da uno staff tecnico di circa 40 persone, con il compito di emanare direttive alle agenzie federali. Viene formulato il principio della obbligatorietà della valutazione preventiva degli effetti sull'ambiente di un determinato progetto. Obiettivo era quello di garantire che la risorsa ambiente fosse inserita tra le priorità tecniche e socio economiche per ogni opera. Stabilisce infatti l’obbligo di includere in ogni proposta legislativa o in ogni altra rilevante azione federale che abbia effetti significativi sulla qualità dell’ambiente umano una dichiarazione dettagliata (Environmental Impact Statement, EIS) concernente l’impatto ambientale dell’azione proposta, gli altri effetti che l’implementazione della stessa non potrebbe evitare, le alternative possibili e le risorse che dovrebbero essere impiegate in caso di attuazione dell’azione proposta. L'EIS (o EIA Environmental Impact Assessment) introduce le prime forme di controllo sulle attività interagenti con l'ambiente (sia in modo diretto che indiretto), mediante strumenti e procedure finalizzate a prevedere e valutare le conseguenze di determinati interventi. Il tutto per evitare, ridurre e mitigare gli impatti. Inizialmente queste direttive si sono incentrate sulla procedura che le agenzie dovevano adottare ed hanno consentito di sviluppare una metodologia sulla Valutazione Ambientale che ha largamente influenzato i Paesi Europei che successivamente si sono affacciati a questo istituto. Le prime direttive del CEQ (1971-1973) non erano vincolanti (come invece le direttive emanate dal 1979, che hanno regolato gli eventuali conflitti di competenza tra le agenzie) ed era concepito come strumento operativo a fini decisionali.
Vedremo nella sezione sulla VAS che il NEPA, contenendo, nella categoria ‘major Federal actions’, riferimenti a projects and programmes, rules and regulations, plans, policies or procedures and legislative proposals, può negli intenti essere considerato anche collegato alla nascita della VAS.
La VIA vede in breve una notevole diffusione in tutti gli Stati sviluppati. Richieste formali in materia di Valutazione di Impatto Ambientale furono presto introdotte in: Jappone (1972); Hong Kong (1972); Canada (1973, Cabinet Directive on the Environmental Assessment Review Process), dove viene emanato il Environmental Assessment Review Process, una norma specifica riguardante le valutazioni di impatto ambientale, sulla falsariga dei provvedimenti statunitensi. Nel 1977 vengono apportate delle modifiche all'impianto legislativo ma, nella sostanza, rimane pressochè invariato: la VIA si applica a progetti pubblici o a progetti accedenti a finanziamento pubblico; Australia (1974, Environmental Protection - Impact of Proposals – Act); Colombia (1974); Venezuela (1976); Filippine (1977); Taiwan (1979); Nuova Zelanda (nel 1973, la Commissione per l’Ambiente elabora le procedure EIA per i principali progetti pubblici con conseguenze ambientali che confluiscono nel National Development Act del 1979); Cina (1979) [Gilpin 1995].
Nel 1978 viene approvato il Regulations for implementing the Procedural Previsions of NEPA, un regolamento attuativo del NEPA che dispone l'obbligo della procedura di VIA per tutti i progetti pubblici o comunque che accedono a finanziamento pubblico. Lo studio di impatto ambientale è predisposto direttamente dall'autorità competente al rilascio dell'autorizzazione finale ed è prevista l'emanazione di due atti distinti: uno relativo alla valutazione di impatto ambientale e uno relativo all'autorizzazione finale per la realizzazione dell'opera.
La Valutazione Ambientale in Europa
Russell Train, ex Chairman del USA's Council for Environmental Quality e Amministratore della Environmental Protection Agency ha detto: ‘I can think of no other initiative in our history that has had such a broad outreach, that has cut across so many functions of government, and that has had such a fundamental impact on the way government does business? I am qualified to characterise that process as truly a revolution in government policy and decision making' [1]. Secondo Bell e McGillivray la Direttiva 85/377/EEC è probabilmente la più importante direttiva in campo ambientale "in parte perché ha annunciato e diffuso l'uso di procedure per la protezione ambientale a livello europeo, ma anche perché fu la prima direttiva a integrare la tutela ambientale con i processi decisionali, una pietra miliare nello sviluppo sostenibile. Il fatto che la direttiva è stata, tra tutte le misure ambientali europee, quella oggetto del maggior numero di critiche ed interesse per la sua non implementazione, è un chiaro indicatore del suo impatto".
La Direttiva 85/337/CEE, modificata dalla Direttiva 97/11/CE richiede che gli Stati Membri assicurino che i progetti che hanno una certa probabilità di avere "effettisignificativi" sull'ambiente non abbiano l'autorizzazione a procedere fino a che gli impatti ambientali non siano stati completamente analizzati. I progetti possono essere sia pubblici che privati e viene fatta una distinzione (allegato I e allegato II) tra i progetti che devono essere obbligatoriamente sottoposti a procedura di VIA e quelli lasciati alla discrezione dello Stato Membro. Nell'allegato I sono elencati progetti di grandi dimensioni come raffinerie, impianti nucleari, aeroporti, autostrade, cave al di sopra dei 25 ettari. La lista dell'allegato II è notevolmente più lunga e comprende bonifiche di aree marine, cave al disotto dei 25 ettari, parchi eolici, fabbriche di automobili, centri commerciali, aree di servizio per autostrade, campi da golf, parcheggi per caravan e parchi tematici. Generalmente l'allegato II specifica soglie dimensionali, ad es. i campi da golf e i parcheggi per caravan al di sotto di 1 ha di superficie sono esclusi dalla procedura di VIA.
Ggli Stati Membri hanno un margine di discrezione per i progetti dell'allegato II, ma quanto deve essere questa discrezionalità? Gli Stati sono liberi di identificare progetti da sottoporre a VIA stabilendo soglie dimensionali caso per caso (ad esempio soglie di superficie o di quantità produttive) (articolo 4). L'allegato III fornisce alcune linee guide secondo tre criteri di selezione:
- le caratteristiche del progetto (dimensione, uso delle risorse naturali, produzione di rifiuti);
- la localizzazione del progetto (aree sensibili o di interesse conservazionistico);
- la caratteristica degli impatti potenziali (dimensione, complessità e durata).
Il diritto alla partecipazione pubblica, già presente nella direttiva, è stato successivamente sottolineato dalla Direttiva 2003/35/CE, che di fatto allinea le norme comunitarie alla Arhus Convention.
Ricordiamo che il diritto europeo ha la precedenza sulle norme nazionali degli stati membri come è stato chiarito dalla Corte di Giustizia Europea nel caso di Van Gend en Loos (26/62): "la Comunità costituisce un nuovo ordine legale, per il quale gli Stati hanno, in definiti campi, limitato la sovranità dello stato". Nel caso Simmenthal SpA (166/77) la Corte si è spinta oltre sostentendo che: "ogni corte nazionale deve ... applicare la legge comunitaria nella sua interezza ... e deve mettere da parte ogni indirizzo della legge nazionale quando questa è in conflitto con quella comunitaria, indipendentemente dalladata di emanazione della norma". L'articolo 10 del Trattato Europeo cita: ‘Member States shall take all appropriate measures ... to ensure fulfilment of the obligations arising out of this Treaty or resulting from action taken by the institutions of the Community. They shall facilitate the achievement of the Community's tasks. They shall abstain from any measure which could jeopardise the attainment of the objectives of this Treaty".
Quindi, sebbene uno stato membro ha un margine di discrezionalità nell'applicare una direttiva europea esso è obbligato ad assicurare che non vi sia un conflitto con la norma nazionale. Gli stati che aspirano ad entrare nella UE devono armonizzare la normativa nazionale alle direttive europee. Molti dei cambiamenti che devono essere fatti dagli stati in via di ingresso sono nel campo ambientale, ad esempio è stato stimato che il 35% della normativa della Serbia nel campo ambientale deve ancora essere armonizzata. Queste richieste comportano un notevole sforzo da parte degli stati candidati membri, per questo la UE prevede linee di finanziamento apposite e un periodo di attesa fino a 10 anni.
In Europa i primi paesi ad introdurre richieste di VIA furono:
- la Repubblica Federale Tedesca (1976, con una decisione del Gabinetto Federale che introduce un esame di compatibilità ambientale delle misure pubbliche prese dalle autorità, incluse proposte di legge, regolamenti, atti amministrativi, programmi e progetti);
- in Francia il 10 luglio 1976 viene emanata la legge n. 76-629 "relative à la protection de la nature". Tale legge ha la caratteristica di introdurre tre diversi livelli di valutazione: etudes d'environment, notices d'impact e etudes d'impact. Si pongono così le basi per l'introduzione della VIA anche in ambito europeo.
La Direttiva Europea sulla Valutazione di Impatto Ambientale di Progetti
Alla proposta di una direttiva sulla VIA da parte della Comunità Europea nel Second Action Programme on the Environment (1977), iniziarono forti opposizioni che portarono ad un dibattito di 8 anni fino al 27 giugno 1985 quando la proposta viene recepita dal Consiglio e la Comunità Europea emana la Direttiva 85/337/CEE "Concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati".
Questo è il primo tentativo europeo di introdurre una disciplina il più organica possibile sulla scia del modello americano (iniziato negli anni '70 e sistemato nel corso del tempo). I concetti basilari sono pubblicità, informazione e partecipazione, viene data una definizione di impatto ambientale, vi è la distinzione in interventi pubblici e privati, degli effetti diretti e indiretti. Questa direttiva propone un lungo elenco di opere da sottoporre a VIA con due livelli di importanza: nell'allegato I le opere per le quali la VIA è obbligatoria in tutta la Comunità, nell'allegato II sono elencati quei progetti per i quali gli stati membri devono stabilire delle soglie di applicabilità. La direttiva 337/85 è stata modificata con la Direttiva 97/11/CE che, pur non imponendo nuovi obblighi, amplia gli elenchi dei progetti da sottoporre a VIA: per le opere comprese nell'allegato I passano da 9 a 20; relativamente per le opere comprese nell'allegato II la nuova direttiva introduce una selezione preliminare e viene lasciata libertà agli Stati membri di optare o per un criterio automatico basato su soglie dimensionali oltre le quali scatta la procedura, o un esame caso per caso dei progetti.
L'Olanda, nel 1986, è la prima nazione ad applicare la nuova Direttiva europea, approvando una norma ampliata con particolare riferimento alla valutazioni da effettuare sui piani. L'elemento centrale della norma olandese è costituito dal raffronto delle alternative e valutazione dei relativi impatti, al fine di determinare la migliore soluzione, in termini ambientali, da realizzare.
L'importanza della VIA fu presto riconosciuta dalla giurisprudenza internazionale e nel 1987 il World Commission on Environment and Development ha pubblicato un influente report (conosciuto come il Brundtland Report) che enfatizza il ruolo della VIA nel facilitare lo sviluppo sostenibile e cita che "quando l'impatto ambientale di un progetto proposto è particolarmente alto il coinvolgimento della popolazione dovrebbe essere obbligatorio e, quando possibile la decisione dovrebbe essere presa previa approvazione pubblica, eventualmente tramite referendum [1].
A partire dagli anni Ottanta, l’attenzione della Comunità Internazionale verso il problema della tutela ambientale si intensifica, e questo sia perché si avverte la consapevolezza che sono necessari sforzi maggiori di quelli precedenti e impegni concreti, sia perché nel momento in cui si intravede una soluzione, attraverso la definizione di un nuovo modello di sviluppo, lo sviluppo sostenibile, si viene a manifestare un conflitto di interessi tra gli Stati industrializzati e quelli in via di sviluppo e diventa particolarmente problematica la ricerca dell'equilibrio tra i due interessi (apparentemente contrapposti) della tutela dell’ambiente e del diritto allo sviluppo. Il principio 17 della Dichiarazione di Rio (1992) su ambiente e sviluppo è dedicato alla VIA e sostiene: Environmental impact assessment, as a national instrument, shall be undertaken for proposed activities that are likely to have a significant adverse impact on the environment and are subject to a decision of a competent authority (tr. la VIA, come strumento nazionale, deve essere effettuata per attività proposte che possono avere un impatto significativamente negativo sull'ambiente e deve essere soggetta da una autorità nazionale competente).
Nel 1998, la Comunità Europea e gli stati membri hanno firmato con le Nazioni Unite (Economic Commission for Europe) una convenzione su "Accesso al l'informazione, la parteciazione pubblica nelle decisioni e l'accesso alla giustizia" (detta Ĺarhus Convention), la quale tra l'altro permette agli stati membri di introdurre mesuri più radicali. Secondo Kofi Annan, la convenzione è "la sfida più ambiziosa nell'area della democrazia ambientale fino ad oggi di pertinenza solo delle Nazioni Unite" [2].
La Valutazione di Impatto Ambientale in Italia
I primi dibattiti pubblici sull'esperienza americana ebbero luogo in Italia nella seconda metà degli anni '70 e fin da subito si è parlato di un rapporto tra valutazione di progetti e valutazione di piani, tema rimasto ricorrente di tutti i dibattiti sulla introduzione della metodologia in Italia.
In questo periodo hanno origine due diverse correnti di pensiero. Da un lato coloro che volevano applicare gli studi di impatto agli indirizzi amministrativi esistenti. Tale tesi mascherava in realtà la difesa di posizioni di potere (relative alla pianificazione territoriale) e il rifiuto dei nuovi rapporti tra cittadino e amministrazione e si trattava di una superflua intrusione di una moda statunitense, un fenomeno cui era "obbligatorio" adeguarsi, ma cercando di limitare i danni il più possibile. Dall'altro canto, coloro che vedevano negli studi di impatto un'insperata occasione di risolvere, contemporaneamente, tre problemi: la cattiva qualità ambientale della progettazione, l'urgente necessità di una riforma della pubblica amministrazione e il riequilibrio dei rapporti tra cittadino, amministrazione e sistema tecnologico. Per questi si trattava di uno strumento indispensabile per il governo sistemico e partecipato del territorio richiesto dalla società postindustriale. Ma lo strumento di valutazione dei piani, si rivelò (e si rivela ancora oggi) di difficile impiego nel contesto italiano perché nato in un quadro giuridico e amministrativo profondamente diverso.
Dalla direttiva 85/337/CEE alle leggi nazionali
L'approvazione della direttiva comunitaria 85/337/CEE del 27 giugno 1985, rallentò l'attività delle regioni in attesa dell'emanazione della direttiva nazionale, la quale rappresentò il punto di arrivo di un lungo ed aspro dibattito parlamentare durato più di cinque anni. Ciò fu dovuto a due cause principali:
- le forti pressioni, strutturalmente contrapposte, delle lobby ambientale e industriale;
- le disomogeneità delle norme interne degli stati membri che ritardarono l'emanazione di un pacchetto legislativo univoco e coerente.
- dimostrare a tutti i soggetti potenzialmente interessati i metodi di analisi degli impatti, la valutazione delle alternative e le soluzioni per minimizzare gli impatti stessi;
- consentire ai soggetti di intervenire nella procedura.
- rallentamento della diffusione dello strumento, in particolare frenando i contributi che le regioni avrebbero potuto dare alla definizione di una prassi operativa saldamente ancorata nella realtà territoriale e socioculturale del Paese;
- attribuire un'importanza secondaria alla partecipazione, riducendo la VIA a uno strumento essenzialmente tecnico per di più a carattere discrezionale;
- ridurre la VIA a una nuova autorizzazione da aggiungere alle numerose già esistenti, evitando di scegliere tra le due alternative realmente utili: farne un'autorizzazione riassuntiva oppure, come nell'originale statunitense, un percorso precisamente definito per giungere ad una valutazione conclusiva;
In sintesi, la normativa nazionale, invece di diffondere l'impiego generalizzato della VIA, come cardine di una cultura moderna della gestione del territorio, ne fece uno strumento elitario e centralizzato, riservato a poche attività eccezionali.
Dalla procedura di infrazione al DPR 12 aprile 1996
Per i motivi suddetti, tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90, la UE avvia nei confronti dell'Italia (ma anche altri stati membri inadempienti) una procedure di infrazione per non aver individuato i progetti dell'allegato 2 (come previsto dalla direttiva europea). Per le perduranti inadempienze nel nostro paese la procedura di infrazione si tramutò in un ricorso presentato alla Corte di Giustizia Europea.
A sbloccare la situazione nella quale la normativa italiana stagnava, concorsero la contemporaneità di diversi fattori, quali:
- le pressioni della Commissione della UE che, dopo aver elencato l'Italia tra gli stati membri meno aderenti allo spirito della direttiva del 1985, aveva aperto nel febbraio 1992 una procedura di infrazione contro il nostro paese per non aver applicato l'allegato II della direttiva;
- le riforme strutturali in corso relativamente alle autonomie locali;
- l'affermarsi dell'utile ruolo degli studi di impatto al fine del superamento delle difficoltà sociali nella realizzazione delle grandi opere pubbliche, e ciò in base ad un diverso rapporto tra progetto, territorio e abitanti al cui interno la procedura di VIA poteva assumere aspetti innovativi;
- il formarsi di una cultura nazionale degli studi di impatto per il crescente numero di indagini eseguite sia in accordo alle norme statali e regionali, sia indipendentemente da ogni regolamentazione formale;
- gli sviluppi delle attività della UE che evidenziano la necessità di impegnarsi a fondo per non rimanere arretrati rispetto agli altri paesi dell'Unione.
definì le condizioni, i criteri e le norme tecniche per l'applicazione dell'allegato II della direttiva del 1985;
promosse gli indirizzi fondamentali per l'attività delle regioni in genere e delle province autonome, cui vennero concessi 9 mesi per adeguarsi alla nuova normativa.
Di fatto, con il DPR 12 aprile 1996 viene conferito alle regioni ed alle province autonome il compito di attuare la Direttiva 85/337/CEE per tutte quelle categorie di opere, elencate in due allegati, A e B, non comprese nella normativa statale, ma previste dalla direttiva comunitaria. Le opere dell'allegato A sono sottoposte a VIA regionale obbligatoria (se queste sono localizzate in un parco, ai sensi della Legge 394/1991, la soglia dimensionale è dimezzata); le opere dell'allegato B sono sottoposte a VIA regionale obbligatoria, con soglie dimezzate, solo nelle aree a parco, al di fuori dei parchi sono sottoposte ad una fase di verifica per stabilire se bisogna fare la VIA oppure no.
Il 27 dicembre 1999 è entrato in vigore il DPCM 3 settembre 1999 in tema di VIA Regionale, il quale introduce nuove opere (e ne modifica altre) da sottoporre alla procedura valutativa locale. Il provvedimento modifica gli allegati A e B del DPR 12 aprile 1996 introducendo 12 nuove categorie di opere.
Ai principali riferimenti legislativi sopraesposti se ne aggiungono altri, sempre di livello nazionale, volti a regolare specifici aspetti della VIA:
- Circolare del Ministero dell'ambiente 11 agosto 1989, pubblicità degli atti riguardanti la richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale di cui all'art.6 della L. 8 luglio 1986; modalità dell'annuncio sui quotidiani; successivamente integrato dalle circolari ministeriale del 23 febbraio 1990 e del 21 giugno 1991.
- Circolare del Ministero dell'ambiente 30 marzo 1990, assoggettabilità alla procedura di impatto ambientale dei progetti riguardanti i porti di seconda categoria classi II, III, e IV, ed in particolare, i "porti turistici". Art. 6 comma 2, della legge 8 luglio 1986, n. 349 e DPCM 10 agosto 1988, n. 377.
- DPR 27 aprile 1992, regolamentazione delle procedure di compatibilità ambientale e norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilità per gli elettrodotti aerei esterni.
- Circolare del Ministero dell'Ambiente 1 dicembre 1992, assoggettabilità alla procedura di impatto ambientale dei progetti riguardanti le vie rapide di comunicazione. Art. 6 comma 2, della legge 8 luglio 1986, n. 349 e successivi DPCM attuativi.
- DPR 18 aprile 1994, regolamento recante norme per disciplinare la valutazione dell'impatto ambientale relativa alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi.
- Legge n. 640 del 3 novembre 1994, ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla valutazione di impatto ambientale in contesto transfrontaliero.
- Circolare del Ministero dell'Ambiente del 15 febbraio 1996, Integrazioni delle circolari 11 agosto 1989 e 23 febbraio 1990 concernenti "Pubblicità degli atti riguardanti la richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale di cui all'art. 6 della legge 8 luglio 1986 . N. 349; modalità di annuncio sui quotidiani".
- Circolare del Ministero dell'Ambiente 7 ottobre 1996, procedure di valutazione di impatto ambientale.
- Circolare del Ministero dell'Ambiente 8 ottobre 1996, principi e criteri di massima della valutazione di impatto ambientale.
- DPR 11 febbraio 1998, disposizioni integrative del DPCM 377/88 in materia di disciplina delle procedure di compatibilità ambientale di cui alla Legge 8 luglio 1986, n. 349, art. 6 DPR 3 luglio 1998, termini e modalità dello svolgimento dalla procedura di valutazione di impatto ambientale per gli interporti di rilevanza nazionale.
- Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 4 agosto 1999, Applicazione della procedura di valutazione di impatto ambientale alle dighe di ritenuta.
Le prime esperienze regionali
Partendo da queste posizioni, nella prima metà degli anni '80 molto si discusse e si operò in attesa della imminente approvazione della direttiva comunitaria. In questo periodo molte regioni svilupparono diversi progetti di legge per regolare autonomamente gli studi di impatto e alcune introdussero lo strumento in legislazioni di settore procedendo ad applicazioni sperimentali. Citiamo alcuni esempi:
- la legge lombarda n° 33 del 22 marzo 1980 che introduce la dichiarazione di compatibilità ambientale nei 46 comuni del Parco Lombardo della Valle del Ticino;
- la legge piemontese n° 61 del 6 dicembre 1984 che richiede lo studio di impatto ambientale tra gli elaborati del progetto territoriale operativo;
- la legge veneta n° 33 del 16 aprile 1985 che destina l'intero Capo III all'impatto ambientale;
- la legge lombarda n° 50 del 24 maggio 1985 che, trattando del piano generale della viabilità, richiede la valutazione degli effetti degli interventi sulle componenti ambientali e l'indicazione delle misure di controllo adeguate;
- la legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n° 22 del 20 maggio 1985 che, trattando del Piano regionale delle opere di viabilità, destina il Capo IV alla valutazione di impatto ambientale;
Il Decreto legislativo 152/2006 e successive modifiche
Il 3 aprile 2006 dopo anni di attesa e tra polemiche di tipo sia politico che tecnico, è entrato in vigore il Decreto Legislativo 152/2006 "Norme in materia ambientale" (Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile 2006). Ma le polemiche non si placano ed interviene subito il cosiddetto "Decreto Milleproroghe" (entrato in vigore, con la legge n. 17 del 26 febbraio 2007 che reca “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300) il quale reca proroga di termini previsti da disposizioni legislative. All’articolo 5, comma 2, proroga al 31 luglio 2007 la parte II del decreto legislativo 152/2006 sulle norme in materia ambientale, riguardante le procedure per la valutazione ambientale strategica (VAS), per la valutazione di impatto ambientale (VIA) e per l‘autorizzazione ambientale integrata (IPPC).
Dopo un dibattito di due anni, il 152 viene sostituito dal D.lgs 4/2008, il cosiddetto "Correttivo unificato", che ha introdotto nel 152 diverse novità. Trattiamo di seguito solamente le modifiche in materia di valutazione ambientale.
1) Principi generali (Parte Prima del D.lgs 152/2006)
Il D.lgs 4/2008 introduce nella Prima Parte del D.lgs 152/2006 alcuni principi fondamentali, ossia:
principio sulla "produzione del diritto ambientale", in base al quale le disposizioni generali ex D.lgs 152/2006 sono "principi fondamentali" e "norme fondamentali di riforma economico-sociale" che, in conformità al Titolo V della Costituzione, limitano la potestà legislativa di Regioni ordinarie ed Enti ad autonomia speciale;
principio dello "sviluppo sostenibile", in base al quale la P.a. deve dare priorità alla tutela ambientale;
principio di "prevenzione" e principio di "precauzione", in base ai quali occorre prima di tutto evitare di creare rischi per l'ambiente, e solo in subordine cercare di limitare quelli esistenti;
principio del "chi inquina paga", che obbliga all'integrale ripristino dello "status quo ante" dell'ambiente;
principio di "sussidiarietà", in base al quale lo Stato interviene solo per inefficacia delle azioni poste a livello inferiore;
principio del libero "accesso alle informazioni ambientali" senza necessità di un interesse giuridicamente rilevante.
2) VIA/VAS (Parte Seconda del D.lgs 152/2006)
Il provvedimento prevede la totale riscrittura delle norme sulla Valutazione di impatto ambientale e sulla Valutazione ambientale strategica contenute nel D.lgs 152/2006 al fine di accogliere le censure avanzate dall'Unione europea in merito alla non corretta trasposizione nazionale delle regole comunitarie. Le principali novità previste dal decreto legislativo di riscrittura coincidono con:
- la riformulazione delle procedure di VIA e VAS per garantire loro piena autonomia;
- l'allargamento del campo di applicazione della procedura VAS;
- l'inclusione dei "piani e programmi relativi agli interventi di telefonia mobile" nella procedura di valutazione ambientale;
- l'obbligo di integrare ed aggiornare la valutazione ambientale per le opere strategiche in relazione alle quali il progetto definitivo si discosta notevolmente da quello preliminare;
- un più netto confine tra le competenze statali e quelle regionali, prevedendo al contempo una uniformazione delle procedure per evitate inutili discrazie tra Stato e Regioni;
- riduzione a 150 giorni del termine massimo per l'espressione del parere della Commissione Via, ad eccezione delle opere particolarmente complesse per le quasi si potrà arrivare a 12 mesi.
Conclusioni
L'introduzione della VIA nell'ordinamento italiano ha contribuito ad un cambiamento della politica ambientale: da vincoli e standard per la tutela di singoli aspetti o elementi dell'ambiente a strumento di analisi e prevenzione degli impatti ambientali negativi. All'interno dell'evoluzione da un approccio vincolistico a quello efficientistico nell'uso delle risorse naturali, prevale l'orientamento conservazionistico, secondo il quale sarebbe inaccettabile qualunque modifica dell'assetto territoriale.
Il cosiddetto ecologismo profondo, partendo dall'impossibilità di prevedere le conseguenze di un'azione, sostiene la necessità di astenersi dal fare o lasciar fare alla natura in una logica che trasforma la VIA in professione di fede. Ma la VIA è figlia dell'ecologismo illuminista, che cerca razionalmente di identificare e quantificare gli impatti di un'azione sull'ambiente, e di evidenziare i rischi in modo da poterne controllare gli effetti.
I due orientamenti rimandano all'interrogativo "rivoluzione o complicazione amministrativa?". Da una parte la VIA può essere uno strumento per la risoluzione del conflitto fra tutela dell'ambiente ed esigenza dello sviluppo, dall'altra può "costituire un ulteriore complicazione nel già farraginoso e costoso fardello procedurale che il committente, il progettista e le pubbliche amministrazioni sono già oggi costretti a percorrere per l'avvio concreto di un progetto".
Nel quadro legislativo e nel quadro teorico-metodologico l'interrogativo rimane aperto: in ogni caso una risposta positiva all'interrogativo non risiede nello strumento in sé stesso, ma nell'interpretazione pratica, quindi nel processo decisionale in cui viene inserito.
Bibliografia
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