Il paesaggio
di Gloria Minarelli
ultima modifica 12 novembre 2007
La Convenzione Europea sul paesaggio, ratificata a Firenze nel 2000, ha rivisto e valorizzato il concetto di paesaggio. Ciò è dovuto ad un’esigenza crescente che nel corso degli ultimi decenni ha fatto emergere un bisogno da parte delle popolazioni di riappropriarsi di un migliore contesto di vita. Pertanto, l’obiettivo principale di questo strumento, vincolante per i paesi dell’Unione, è quello di promuovere una maggiore coscienza della necessità che salvaguardare il paesaggio significa preservare una componente importante del patrimonio culturale ed identitario delle nazioni.
ultima modifica 12 novembre 2007
La Convenzione Europea sul paesaggio, ratificata a Firenze nel 2000, ha rivisto e valorizzato il concetto di paesaggio. Ciò è dovuto ad un’esigenza crescente che nel corso degli ultimi decenni ha fatto emergere un bisogno da parte delle popolazioni di riappropriarsi di un migliore contesto di vita. Pertanto, l’obiettivo principale di questo strumento, vincolante per i paesi dell’Unione, è quello di promuovere una maggiore coscienza della necessità che salvaguardare il paesaggio significa preservare una componente importante del patrimonio culturale ed identitario delle nazioni.
Nella definizione data dalla Convenzione si afferma che il paesaggio è “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. Nella definizione si rintracciano chiaramente due componenti intrecciate tra di loro: il principio del paesaggio si fonda quindi sia su elementi materiali, oggettivi, ma anche su di un giudizio umano, questo ultimo sottolineato nella Convenzione dal termine percezione. Il termine percezione rimanda a sua volta al termine rappresentazione, ed in effetti risulta difficile concepire un luogo prescindendo da una valutazione soggettiva di questo. Dalla definizione emerge un altro aspetto importante: la molteplicità e la diversità dei paesaggi, dovuta non solo ai differenti ambiti territoriali nei quali vivono le persone, ma anche all’evoluzione storica che i paesaggi subiscono nel corso degli anni. Il paesaggio è per sua natura dinamico, esso muta in relazione agli uomini, alle loro azioni, alle rappresentazioni che essi si danno, ai periodo storici. La interrelazione che lega uomo e paesaggio si fonda sull’equilibrio e l’armonia.
Oggi tuttavia, in un epoca dominata dalla globalizzazione i cui effetti di omologazione e appiattimento incidono notevolmente sia nell’esistenza delle persone sia sul loro ambiente di vita, il rapporto che lega le comunità al proprio territorio sembra essersi spezzato. L’accelerato sviluppo economico degli ultimi cento anni ha inciso profondamente sul paesaggio e sull’ambiente in genere. E’ evidente il legame stretto che intercorre tra paesaggio e individuo: se le azioni antropiche trasformano l’ambiente, questo a sua volta modifica la percezione dell’uomo nei suoi riguardi. Secondo Eugenio Turri (2004), geografo, “il paesaggio è la rappresentazione del nostro concreto spazio di vita, del territorio che abbiamo costruito e modellato in quanto nostra dimora, per cui […] al paesaggio si connette l’ambiente, la cui tutela significa perciò stesso assicurare agli uomini un habitat più sano e vivibile.” Parlare di tutela significa per Turri assumere una diversa maniera di relazionarsi al territorio, non incentrata sul principio del progresso economico. Ciò significherebbe stabilire un approccio di ordine etico che porti a cambiare atteggiamento nei confronti del paesaggio e dell’ambiente in genere.
Il paesaggio nella filosofia e nella geografia umana
Quanto è cambiata la nostra attuale percezione del paesaggio rispetto alle epoche passate? Di sicuro l’idea di paesaggio si è disgregata perché, per la relazione espressa sopra tra uomo e natura, le azioni antropiche hanno generato profonde alterazioni degli scenari naturali. Di certo quando pensiamo al paesaggio l’immagine delle città svanisce per lasciare il posto a rappresentazioni di luoghi che sono privi di tracce umane.
Se nell’arte del ‘700 e dell’’800 il paesaggio rappresentato si identificava con il paesaggio reale, oggi ciò non può avvenire: il degrado e una natura artificiale hanno dato origine ai cosiddetti “non luoghi”. Il termine “non luogo”, coniato dall’antropologo Marc Augè, identifica la forma dello spazio moderno, spazio infinito e quindi privo di confini di riferimento, anonimo e standardizzato, come tale è l’uomo che ne entra a far parte.
L’uomo, per sua costituzione ha bisogno di confini. Egli agisce nel mondo ordinandolo, costituendo un nomos che a sua volta determina specifici orizzonti di riferimento entro cui l’uomo si colloca. La natura resa significativa diviene cultura. Rivolgersi al mondo allora significa interrogarsi sulla stessa esistenza dell’uomo. Pertanto sul “[…] paesaggio, in quanto riflesso del mondo e del suo mistero, l’uomo ha posto le prime domande sul senso del suo vivere ed operare”.
Nella rappresentazione di un paesaggio, pertanto, vi è un riconoscimento da parte del soggetto in ciò che è stato percepito: nel paesaggio l’individuo si riconosce. Il paesaggio fornisce in un qualche modo un’identità ad una determinata popolazione o civiltà. Attraverso esso gli individui hanno la possibilità di rispecchiarsi e di riconoscersi, nonché di rivivere il proprio passato.
C’è un nesso essenziale, quindi, tra paesaggio da un lato, e cultura ed identità dall’altro. In particolare la cultura è “[…] la maniera particolare in cui gli esseri umani imparano ad organizzare il loro comportamento e il loro pensiero in relazione all’ambiente […] è il luogo in cui gli individui vanno incontro, contemporaneamente a un processo particolaristico di “culturalizzazzione” e a uno universalistico di “umanizzazione”: nel diventare membri di una cultura specifica, diventano anche “esseri umani”.
La cultura è fatta non solo da una lingua, da stili di vita, da una religione, ma anche di paesaggi, che fungono da orizzonti di riferimento. Il paesaggio è uno spazio particolare che plasma la vita dell’uomo e che a sua volta è plasmato dalle azioni dell’uomo. L’importanza della componente umana per comprendere il paesaggio è stata oggetto di ampie riflessioni provenienti soprattutto dalle discipline umane, in particolare filosofia e geografia umana. I maggiori contributi di carattere estetico-filosofici vengono da Joachim Ritter e Georg Simmel.
Ritter nello scritto Paesaggio, uomo e natura nell’età moderna, scrive: “paesaggio è natura che si rivela esteticamente a chi lo osserva e contempla con sentimento: né i campi dinanzi alla città né il torrente come “confine”, “strada mercantile” e “ostacolo per costruire ponti”, né i monti e le steppe dei pastori e delle carovane (o dei cercatori di petrolio) sono, in quanto tali, “paesaggio”. Lo diventano solo quando l’uomo si rivolge a essi senza uno scopo pratico, intuendoli e godendoli liberamente per essere nella natura in quanto uomo.
Il paesaggio nasce per Ritter da una contemplazione sentimentale, ciò che invece Simmel chiama atto spirituale, Stimmung; in tale percezione risiede inoltre la differenza tra paesaggio e natura. Mentre la natura consiste nella totalità degli elementi naturali, il paesaggio presuppone, invece, secondo Simmel un immagine compiuta, sentita come unità autonoma. E’ chiara la funzione esistenziale del paesaggio, esso è insieme natura e storia, frutto dell’incontro tra uomo e territorio. Il paesaggio allora non può essere pensato senza tener conto della dimensione soggettiva e sentimentale: senza questa non potrebbe sussistere.
Per quanto riguarda la geografia umana i contributi provengono in particolare da Friedrich Ratzel e Alexander von Humboldt, considerati i padri di questa branca della disciplina geografica che ha il compito “[…] di rilevare la distribuzione degli uomini in relazione all’ambiente in cui vivono e di cui gli uomini stessi entrano a far parte, di cogliere la reciproca influenza che l’ambiente naturale esercita sulle comunità umane e le modificazioni che le opere umane apportano all’ambiente naturale […]”.
Influenzato dagli studi sull’evoluzione biologica di Darwin e dal positivismo, Ratzel pone le basi per la nascita del determinismo ambientalistico. Secondo questa visione l’ambiente condiziona le società umane e determina la distribuzione delle popolazioni sul pianeta. Nella sua Anthropogeographie viene formulata la teoria secondo la quale un particolare tipo di ambiente favorisce ed addirittura determina la nascita di un certo tipo di civiltà piuttosto che di un altra. Per Humboldt, invece, la conoscenza geografica si realizza attraverso due momenti, uno di intuizione sensibile ed un momento scientifico, per cui il paesaggio che è una parte della natura, viene colto insieme da intuizione e ragione. Humboldt si pone sostanzialmente a metà via tra una riflessione speculativa ed una conoscenza di tipo scientifico, è colui, come afferma Turri, “[…] che per primo ha guardato con occhio razionale, ma non di meno trepido e commosso, allo scenario della nostra esistenza, cercando di dare ordine sistematico ai risultati delle sue osservazioni”.
Turri afferma inoltre che queste due modalità di guardare il mondo, se all’inizio della storia del pensiero erano convergenti (in particolare nella filosofia greca), divenute poi divergenti con l’avvento della rivoluzione scientifica, oggi tendono a riconciliarsi: “si guarda il paesaggio per capire il senso delle nostre azioni che concretamente incidono sul mondo, e al tempo stesso per trovare delle risposte all’emozione delle albe e al mistero che i grandi paesaggi continuano a suscitarci. Tutto ciò nel senso che al paesaggio […] è riconducibile non solo il mistero del mondo ma anche del nostro essere al mondo, considerando che nel paesaggio c’è il segno di sé dell’uomo, del suo agire, del suo rappresentare e rappresentarsi”.
Su questo ultimo aspetto non si può allora prescindere dal considerare l’avvento delle tecniche, dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione che, se da un lato hanno portato alla solitudine, al disincanto dell’uomo moderno, dall’altro hanno provocato trasformazioni e stravolgimenti del territorio. Interrogarsi su questi aspetti, data la stretta relazione tra uomo e paesaggio, significa capire la vita stessa dell’uomo, quello che è stato il suo passato e quello che sarà il suo futuro.
Il paesaggio trasformato
Ogni paesaggio reca con sé le tracce del passato degli individui, le loro radici, la loro identità; osservarlo permette di comprendere l’evoluzione storica del rapporto tra uomo e natura.
processi di globalizzazione e di industrializzazione hanno messo in scena paesaggi degradati con l’inevitabile conseguenza di perdita, per le popolazioni che li abitano, di un quadro territoriale di riferimento.
Ciò che caratterizzava le società arcaiche era la stabilità, l’attaccamento forte ai luoghi d’origine, l’equilibrio tra uomo e territorio. La modernità ha conosciuto invece la deterritorializzazione, l’abolizione della categoria di spazio e quella di tempo (con l’annullamento delle distanze). Frutto di ciò è la omologazione e standardizzazione. Ciò si ripercuote anche sui paesaggi: l’antica armonia scompare, l’equilibrio tra uomo e natura svanisce e lascia il posto ad esigenze funzionali, in ultima istanza, natura e cultura non stanno più insieme. E’ inevitabile, quindi, dover annunciare la scomparsa del paesaggio. Turri sostiene “ con il processo di industrializzazione, e i mutamenti ad esso collegati, sia venuto meno, come accadeva nel mondo preindustriale o premoderno, il confronto diretto tra uomo e natura, ed in particolare che sia venuto meno quel momento magico in cui l’uomo, individualmente considerato, trovava rispecchiato nella natura il segno di sé, della propria azione, del proprio modo di creare un ordine secondo le intenzioni, le aspirazioni, i calcoli o i disegni, le necessità suggeritegli dalla cultura e dalla società in cui viveva e operava”.
Il rapporto diretto con la natura scompare lasciando il posto a spazi “manipolati”: il paesaggio che ne risulta è alterato, non più riconoscibile nella sua forma originaria.
Bibliografia
Convenzione Europea sul paesaggio, 20 Ottobre, 2000, Firenze.
Fabietti. U, Malighetti. R, Matera. V, Dal tribale al globale, Mondatori, 2000, Milano.
Ritter. J, Paesaggio, uomo e natura nell’età moderna, a cura di Massimo Venturi Ferriolo, Guerini e associati, Milano, 1994.
Russ. J, L’etica contemporanea, il Mulino, Bologna, 1997.
Turri. E, Il paesaggio e il silenzio, Marsilio, Venezia, 2004,
Oggi tuttavia, in un epoca dominata dalla globalizzazione i cui effetti di omologazione e appiattimento incidono notevolmente sia nell’esistenza delle persone sia sul loro ambiente di vita, il rapporto che lega le comunità al proprio territorio sembra essersi spezzato. L’accelerato sviluppo economico degli ultimi cento anni ha inciso profondamente sul paesaggio e sull’ambiente in genere. E’ evidente il legame stretto che intercorre tra paesaggio e individuo: se le azioni antropiche trasformano l’ambiente, questo a sua volta modifica la percezione dell’uomo nei suoi riguardi. Secondo Eugenio Turri (2004), geografo, “il paesaggio è la rappresentazione del nostro concreto spazio di vita, del territorio che abbiamo costruito e modellato in quanto nostra dimora, per cui […] al paesaggio si connette l’ambiente, la cui tutela significa perciò stesso assicurare agli uomini un habitat più sano e vivibile.” Parlare di tutela significa per Turri assumere una diversa maniera di relazionarsi al territorio, non incentrata sul principio del progresso economico. Ciò significherebbe stabilire un approccio di ordine etico che porti a cambiare atteggiamento nei confronti del paesaggio e dell’ambiente in genere.
Il paesaggio nella filosofia e nella geografia umana
Quanto è cambiata la nostra attuale percezione del paesaggio rispetto alle epoche passate? Di sicuro l’idea di paesaggio si è disgregata perché, per la relazione espressa sopra tra uomo e natura, le azioni antropiche hanno generato profonde alterazioni degli scenari naturali. Di certo quando pensiamo al paesaggio l’immagine delle città svanisce per lasciare il posto a rappresentazioni di luoghi che sono privi di tracce umane.
Se nell’arte del ‘700 e dell’’800 il paesaggio rappresentato si identificava con il paesaggio reale, oggi ciò non può avvenire: il degrado e una natura artificiale hanno dato origine ai cosiddetti “non luoghi”. Il termine “non luogo”, coniato dall’antropologo Marc Augè, identifica la forma dello spazio moderno, spazio infinito e quindi privo di confini di riferimento, anonimo e standardizzato, come tale è l’uomo che ne entra a far parte.
L’uomo, per sua costituzione ha bisogno di confini. Egli agisce nel mondo ordinandolo, costituendo un nomos che a sua volta determina specifici orizzonti di riferimento entro cui l’uomo si colloca. La natura resa significativa diviene cultura. Rivolgersi al mondo allora significa interrogarsi sulla stessa esistenza dell’uomo. Pertanto sul “[…] paesaggio, in quanto riflesso del mondo e del suo mistero, l’uomo ha posto le prime domande sul senso del suo vivere ed operare”.
Nella rappresentazione di un paesaggio, pertanto, vi è un riconoscimento da parte del soggetto in ciò che è stato percepito: nel paesaggio l’individuo si riconosce. Il paesaggio fornisce in un qualche modo un’identità ad una determinata popolazione o civiltà. Attraverso esso gli individui hanno la possibilità di rispecchiarsi e di riconoscersi, nonché di rivivere il proprio passato.
C’è un nesso essenziale, quindi, tra paesaggio da un lato, e cultura ed identità dall’altro. In particolare la cultura è “[…] la maniera particolare in cui gli esseri umani imparano ad organizzare il loro comportamento e il loro pensiero in relazione all’ambiente […] è il luogo in cui gli individui vanno incontro, contemporaneamente a un processo particolaristico di “culturalizzazzione” e a uno universalistico di “umanizzazione”: nel diventare membri di una cultura specifica, diventano anche “esseri umani”.
La cultura è fatta non solo da una lingua, da stili di vita, da una religione, ma anche di paesaggi, che fungono da orizzonti di riferimento. Il paesaggio è uno spazio particolare che plasma la vita dell’uomo e che a sua volta è plasmato dalle azioni dell’uomo. L’importanza della componente umana per comprendere il paesaggio è stata oggetto di ampie riflessioni provenienti soprattutto dalle discipline umane, in particolare filosofia e geografia umana. I maggiori contributi di carattere estetico-filosofici vengono da Joachim Ritter e Georg Simmel.
Ritter nello scritto Paesaggio, uomo e natura nell’età moderna, scrive: “paesaggio è natura che si rivela esteticamente a chi lo osserva e contempla con sentimento: né i campi dinanzi alla città né il torrente come “confine”, “strada mercantile” e “ostacolo per costruire ponti”, né i monti e le steppe dei pastori e delle carovane (o dei cercatori di petrolio) sono, in quanto tali, “paesaggio”. Lo diventano solo quando l’uomo si rivolge a essi senza uno scopo pratico, intuendoli e godendoli liberamente per essere nella natura in quanto uomo.
Il paesaggio nasce per Ritter da una contemplazione sentimentale, ciò che invece Simmel chiama atto spirituale, Stimmung; in tale percezione risiede inoltre la differenza tra paesaggio e natura. Mentre la natura consiste nella totalità degli elementi naturali, il paesaggio presuppone, invece, secondo Simmel un immagine compiuta, sentita come unità autonoma. E’ chiara la funzione esistenziale del paesaggio, esso è insieme natura e storia, frutto dell’incontro tra uomo e territorio. Il paesaggio allora non può essere pensato senza tener conto della dimensione soggettiva e sentimentale: senza questa non potrebbe sussistere.
Per quanto riguarda la geografia umana i contributi provengono in particolare da Friedrich Ratzel e Alexander von Humboldt, considerati i padri di questa branca della disciplina geografica che ha il compito “[…] di rilevare la distribuzione degli uomini in relazione all’ambiente in cui vivono e di cui gli uomini stessi entrano a far parte, di cogliere la reciproca influenza che l’ambiente naturale esercita sulle comunità umane e le modificazioni che le opere umane apportano all’ambiente naturale […]”.
Influenzato dagli studi sull’evoluzione biologica di Darwin e dal positivismo, Ratzel pone le basi per la nascita del determinismo ambientalistico. Secondo questa visione l’ambiente condiziona le società umane e determina la distribuzione delle popolazioni sul pianeta. Nella sua Anthropogeographie viene formulata la teoria secondo la quale un particolare tipo di ambiente favorisce ed addirittura determina la nascita di un certo tipo di civiltà piuttosto che di un altra. Per Humboldt, invece, la conoscenza geografica si realizza attraverso due momenti, uno di intuizione sensibile ed un momento scientifico, per cui il paesaggio che è una parte della natura, viene colto insieme da intuizione e ragione. Humboldt si pone sostanzialmente a metà via tra una riflessione speculativa ed una conoscenza di tipo scientifico, è colui, come afferma Turri, “[…] che per primo ha guardato con occhio razionale, ma non di meno trepido e commosso, allo scenario della nostra esistenza, cercando di dare ordine sistematico ai risultati delle sue osservazioni”.
Turri afferma inoltre che queste due modalità di guardare il mondo, se all’inizio della storia del pensiero erano convergenti (in particolare nella filosofia greca), divenute poi divergenti con l’avvento della rivoluzione scientifica, oggi tendono a riconciliarsi: “si guarda il paesaggio per capire il senso delle nostre azioni che concretamente incidono sul mondo, e al tempo stesso per trovare delle risposte all’emozione delle albe e al mistero che i grandi paesaggi continuano a suscitarci. Tutto ciò nel senso che al paesaggio […] è riconducibile non solo il mistero del mondo ma anche del nostro essere al mondo, considerando che nel paesaggio c’è il segno di sé dell’uomo, del suo agire, del suo rappresentare e rappresentarsi”.
Su questo ultimo aspetto non si può allora prescindere dal considerare l’avvento delle tecniche, dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione che, se da un lato hanno portato alla solitudine, al disincanto dell’uomo moderno, dall’altro hanno provocato trasformazioni e stravolgimenti del territorio. Interrogarsi su questi aspetti, data la stretta relazione tra uomo e paesaggio, significa capire la vita stessa dell’uomo, quello che è stato il suo passato e quello che sarà il suo futuro.
Il paesaggio trasformato
Ogni paesaggio reca con sé le tracce del passato degli individui, le loro radici, la loro identità; osservarlo permette di comprendere l’evoluzione storica del rapporto tra uomo e natura.
processi di globalizzazione e di industrializzazione hanno messo in scena paesaggi degradati con l’inevitabile conseguenza di perdita, per le popolazioni che li abitano, di un quadro territoriale di riferimento.
Ciò che caratterizzava le società arcaiche era la stabilità, l’attaccamento forte ai luoghi d’origine, l’equilibrio tra uomo e territorio. La modernità ha conosciuto invece la deterritorializzazione, l’abolizione della categoria di spazio e quella di tempo (con l’annullamento delle distanze). Frutto di ciò è la omologazione e standardizzazione. Ciò si ripercuote anche sui paesaggi: l’antica armonia scompare, l’equilibrio tra uomo e natura svanisce e lascia il posto ad esigenze funzionali, in ultima istanza, natura e cultura non stanno più insieme. E’ inevitabile, quindi, dover annunciare la scomparsa del paesaggio. Turri sostiene “ con il processo di industrializzazione, e i mutamenti ad esso collegati, sia venuto meno, come accadeva nel mondo preindustriale o premoderno, il confronto diretto tra uomo e natura, ed in particolare che sia venuto meno quel momento magico in cui l’uomo, individualmente considerato, trovava rispecchiato nella natura il segno di sé, della propria azione, del proprio modo di creare un ordine secondo le intenzioni, le aspirazioni, i calcoli o i disegni, le necessità suggeritegli dalla cultura e dalla società in cui viveva e operava”.
Il rapporto diretto con la natura scompare lasciando il posto a spazi “manipolati”: il paesaggio che ne risulta è alterato, non più riconoscibile nella sua forma originaria.
Bibliografia
Convenzione Europea sul paesaggio, 20 Ottobre, 2000, Firenze.
Fabietti. U, Malighetti. R, Matera. V, Dal tribale al globale, Mondatori, 2000, Milano.
Ritter. J, Paesaggio, uomo e natura nell’età moderna, a cura di Massimo Venturi Ferriolo, Guerini e associati, Milano, 1994.
Russ. J, L’etica contemporanea, il Mulino, Bologna, 1997.
Turri. E, Il paesaggio e il silenzio, Marsilio, Venezia, 2004,