Il piano o programma
di Gian Andrea Pagnoni
ultima modifica 10/07/2014
ultima modifica 10/07/2014
Ai sensi dell'art. 5, comma d, del Decreto Legislativo 152/2006 come modificato dal Decreto Legislativo 16 gennaio 2008 nr. 4, per piani e programmi si intendono "tutti gli atti e provvedimenti di pianificazione e di programmazione comunque denominati previsti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative adottati o approvati da autorità statali, regionali o locali, compresi quelli cofinanziati dalla Comunità europea, nonche' le loro modifiche; salvi i casi in cui le norme di settore vigenti dispongano altrimenti, la valutazione ambientale strategica viene eseguita, prima dell'approvazione, sui piani e programmi adottati oppure, ove non sia previsto un atto formale di adozione, sulle proposte di piani o programmi giunte al grado di elaborazione necessario e sufficiente per la loro presentazione per l'approvazione".
Ai sensi del medesimo D.lgs, comma e, il progetto di un'opera od intervento è "l'elaborato tecnico, preliminare, definitivo o esecutivo concernente la realizzazione di un impianto, opera o intervento, compresi gli interventi sull'ambiente naturale o sul paesaggio quali quelli destinati allo sfruttamento delle risorse naturali e del suolo; salvi i casi in cui le normative vigenti di settore espressamente dispongano altrimenti, la valutazione di impatto ambientale viene eseguita sui progetti preliminari che contengano l'esatta indicazione delle aree impegnate e delle caratteristiche prestazionali delle opere da realizzare, oltre agli ulteriori elementi comunque ritenuti utili per lo svolgimento della valutazione di impatto ambientale".
Il piano è quindi uno strumento che si posiziona ad un livello più alto rispetto al progetto e, più in dettaglio, un piano urbanistico è un insieme di documenti disegnati e scritti che contengono gli indirizzi per le trasformazioni territoriali in un determinato contesto territoriale, è uno strumento prima di tutto di carattere tecnico (oltre che politico), è si rivolge ad un arco temporale piuttosto lungo (almeno dieci anni), modifica il regime dei suoli e quindi i diritti d’uso e di trasformazione dei privati proprietari in tutto il contesto territoriale di riferimento (generalmente il Comune).
Il Piano Regionale
Il Piano territoriale regionale (PTR) è lo strumento di programmazione con il quale la Regione delinea la strategia di sviluppo del territorio regionale definendo gli obiettivi per assicurare la coesione sociale, accrescere la qualità e l’efficienza del sistema territoriale e garantire la qualificazione e la valorizzazione delle risorse sociali ed ambientali. l PTR è predisposto in coerenza con le strategie europee e nazionali di sviluppo del territorio. valori paesaggistici, ambientali e culturali del territorio regionale sono oggetto di specifica considerazione nel Piano Territoriale Paesistico Regionale (PTPR) che è parte integrante del PTR. l PTR definisce indirizzi e direttive per pianificazioni di settore, per i Piani Territoriali di Coordinamento Provinciali (PTCP) e per gli strumenti della programmazione negoziata.
Il Piano Provinciale
Il Piano Territoriale di Coordinamento (PTC) è l'atto di programmazione con il quale la Provincia esercita, nel governo del territorio, un ruolo di coordinamento programmatico e di raccordo tra le politiche territoriali della Regione e la pianificazione urbanistica comunale. Il PTC contiene:
Il PTC costituisce il riferimento per la formazione e/o l'adeguamento degli strumenti urbanistici comunali. Con il suo strumento la Provincia assolve a due compiti fondamentali: da un lato mette a disposizione dei Comuni un vasto patrimonio di informazioni ed un approfondito quadro conoscitivo di area vasta, dall'altro svolge il ruolo di coordinamento che le è proprio, definendo un insieme di obiettivi e di indirizzi programmatici di valenza sovracomunale (da tradurre in componenti strutturali della pianificazione comunale), e dettando alcune prescrizioni legate alle specifiche competenze della Provincia. L'efficacia diretta sul territorio del PTC si esplica solo per tali prescrizioni: per il resto lo strumento provinciale acquista efficacia nell'essere attuato dal Piano Strutturale di ciascun Comune. Il PTC ha anche valore di Piano Paesistico ai sensi della Legge n° 431/85. Esso contiene in particolare:
Il Piano Comunale
Il Piano Regolatore Generale Comunale (PRGC, PRG, PSC o PAT secondo le Regioni) è definito come uno strumento che regola l'attività edificatoria in un territorio comunale. È uno strumento redatto dal singolo comune o da più comuni limitrofi (Piano Regolatore Generale Intercomunale) e contiene indicazioni sul possibile utilizzo o tutela delle porzioni del territorio cui si riferisce.
Il primo Piano Regolatore fu introdotto dalla Legge 2359/1865 ed era costituito da due parti: un Piano regolatore edilizio, il cui ambito d'intervento era il perimetro della città esistente, e un Piano d'ampliamento, il cui ambito era il circondario esterno. Solitamente i piani regolatori comunali riguardavano soprattutto le grandi città e i primi piani in Italia furono: 1. Firenze (piano Poggi del 1865), 2. Roma (piano Viviani del 1873 e del 1882, piano Saintjust-Nathan del 1909), 3. Milano (piano Beruto del 1889, piano Pavia-Masera del 1912), 4. Torino (piano regolatore del 1906), 5. Napoli (piano di risanamento del 1885, piano De Simoni del 1914), 6. Bologna (piano regolatore del 1889).
La Legge Urbanistica Nazionale n.1150 del 17 agosto 1942 introdusse un nuovo tipo di Piano Regolatore con radicale trasformazione delle sue caratteristiche, quali l'estensione all'intero territorio comunale e l'obbligatorietà per comuni più importanti. Il P.R.G. del 1942 nacque come strumento regolatore della crescita urbana, ma intorno agli anni '70 divenne strumento di gestione dell'assetto del territorio con la finalità di disegnare la crescita delle città e gestire l'incremento urbano nel perimetro del territorio comunale. Era obbligatorio per comuni compresi nella lista delle regioni ed ha validità a tempo indeterminato. I contenuti principali erano i seguenti:
Il PRG negli ultimi anni ha assunto nomi diversi a seconda delle Leggi Regionali in materia. In Lombardia la L.R. 12/2005 lo chiama PGT (Piano di Governo del Territorio), in Veneto la L.R. 11/2004 lo chiama PAT (Piano di Assetto del Territorio), in Emilia Romagna la L.R. 20/2000 lo chiama PSC (Piano Strutturale Comunale).
I Piani di settore
Oltre ai piani generali ed urbanistici esistono una serie di piani che sono elaborati per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli. Citiamo di seguito alcuni esempi di piani di settore.
Il Piano di Bacino
Il piano di bacino persegue le finalità previste dalla ex legge 183/1989 e riprese dal D.lgs 152/2006 che individua nel bacino idrografico l'ambito fisico di riferimento per gli interventi di pianificazione territoriale. In tal modo vengono superati i problemi di frammentazione e le difficoltà di coordinamento dovuti all'adozione di ambiti territoriali delimitati da confini puramente amministrativi. Per ogni distretto idrografico individuato, il DLgs 152 prevede l'elaborazione di un piano di bacino, il cui obiettivo è la pianificazione e la programmazione di interventi e la definizione di regole gestionali per la difesa e la valorizzazione del suolo e per la difesa della qualità delle acque. In riferimento a tali finalità viene perciò individuato un primo livello di obiettivi (obbiettivi generali), che fa riferimento alle esigenze di conoscenza del territorio e dell'ambiente, di programmazione degli usi delle risorse, di gestione e controllo e che assume come non negoziabili alcune variabili-obiettivo, quali la difesa dalle piene, la difesa delle coste e delle falde acquifere, la difesa dall'inquinamento, il mantenimento di un "minimo vitale" di portata nei corsi d'acqua in periodi di magra, la difesa delle valenze culturali.
Nel dettaglio tali obiettivi si riassumono nei seguenti punti:
Il Piano Gestione Rifiuti
Ai sensi del DLgs.152/2006 (comma 1, lettera a, dell’art.196) compete alla Regione la predisposizione, l’adozione e l’aggiornamento del Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti; tale strumento costituisce il riferimento pianificatorio per l’attuazione di sistemi di gestione di rifiuti conformi agli obiettivi del citato Decreto.
Tra i contenuti salienti del Piano Regionale (art.199, c.3 del DLgs.152/2006), si segnalano:
Il Piano Faunistico Venatorio
Il Piano faunistico venatorio regionale, sulla base dei criteri dettati dall’art. 10 della Legge 157/92 dettagliati poi a livello di norme regionali. Il Piano, corredato dalla relativa cartografia e dal regolamento di attuazione, ha i seguenti contenuti e finalità:
Ai sensi del medesimo D.lgs, comma e, il progetto di un'opera od intervento è "l'elaborato tecnico, preliminare, definitivo o esecutivo concernente la realizzazione di un impianto, opera o intervento, compresi gli interventi sull'ambiente naturale o sul paesaggio quali quelli destinati allo sfruttamento delle risorse naturali e del suolo; salvi i casi in cui le normative vigenti di settore espressamente dispongano altrimenti, la valutazione di impatto ambientale viene eseguita sui progetti preliminari che contengano l'esatta indicazione delle aree impegnate e delle caratteristiche prestazionali delle opere da realizzare, oltre agli ulteriori elementi comunque ritenuti utili per lo svolgimento della valutazione di impatto ambientale".
Il piano è quindi uno strumento che si posiziona ad un livello più alto rispetto al progetto e, più in dettaglio, un piano urbanistico è un insieme di documenti disegnati e scritti che contengono gli indirizzi per le trasformazioni territoriali in un determinato contesto territoriale, è uno strumento prima di tutto di carattere tecnico (oltre che politico), è si rivolge ad un arco temporale piuttosto lungo (almeno dieci anni), modifica il regime dei suoli e quindi i diritti d’uso e di trasformazione dei privati proprietari in tutto il contesto territoriale di riferimento (generalmente il Comune).
Il Piano Regionale
Il Piano territoriale regionale (PTR) è lo strumento di programmazione con il quale la Regione delinea la strategia di sviluppo del territorio regionale definendo gli obiettivi per assicurare la coesione sociale, accrescere la qualità e l’efficienza del sistema territoriale e garantire la qualificazione e la valorizzazione delle risorse sociali ed ambientali. l PTR è predisposto in coerenza con le strategie europee e nazionali di sviluppo del territorio. valori paesaggistici, ambientali e culturali del territorio regionale sono oggetto di specifica considerazione nel Piano Territoriale Paesistico Regionale (PTPR) che è parte integrante del PTR. l PTR definisce indirizzi e direttive per pianificazioni di settore, per i Piani Territoriali di Coordinamento Provinciali (PTCP) e per gli strumenti della programmazione negoziata.
Il Piano Provinciale
Il Piano Territoriale di Coordinamento (PTC) è l'atto di programmazione con il quale la Provincia esercita, nel governo del territorio, un ruolo di coordinamento programmatico e di raccordo tra le politiche territoriali della Regione e la pianificazione urbanistica comunale. Il PTC contiene:
- la definizione di principi d'uso e tutela delle risorse del territorio;
- la definizione degli obiettivi da perseguire nel governo del territorio e delle conseguenti azioni di trasformazione e di tutela;
- la definizione dei criteri di localizzazione degli interventi di competenza provinciale;
- la definizione degli indirizzi per assicurare l'equilibrio e l'integrazione tra il sistema di organizzazione degli spazi e il sistema di organizzazione dei tempi, in modo da favorire una fruizione dei servizi pubblici e privati che non induca necessità di mobilità;
- la definizione di criteri e parametri per le valutazioni di compatibilità tra le varie forme e modalità di utilizzazione delle risorse essenziali del territorio.
Il PTC costituisce il riferimento per la formazione e/o l'adeguamento degli strumenti urbanistici comunali. Con il suo strumento la Provincia assolve a due compiti fondamentali: da un lato mette a disposizione dei Comuni un vasto patrimonio di informazioni ed un approfondito quadro conoscitivo di area vasta, dall'altro svolge il ruolo di coordinamento che le è proprio, definendo un insieme di obiettivi e di indirizzi programmatici di valenza sovracomunale (da tradurre in componenti strutturali della pianificazione comunale), e dettando alcune prescrizioni legate alle specifiche competenze della Provincia. L'efficacia diretta sul territorio del PTC si esplica solo per tali prescrizioni: per il resto lo strumento provinciale acquista efficacia nell'essere attuato dal Piano Strutturale di ciascun Comune. Il PTC ha anche valore di Piano Paesistico ai sensi della Legge n° 431/85. Esso contiene in particolare:
- il quadro conoscitivo delle risorse essenziali del territorio provinciale;
- il loro grado di vulnerabilità e riproducibilità in riferimento ai sistemi ambientali locali, indicando, con particolare riferimento ai bacini idrografici, le relative condizioni d'uso;
- prescrizioni sull'articolazione e le linee di evoluzione dei sistemi territoriali, urbani, rurali e montani;
- prescrizioni, criteri ed ambiti localizzativi in funzione delle dotazioni e della funzionalità di infrastrutture e servizi di interesse sovracomunale e di interesse unitario regionale;
- prescrizioni localizzative indicate da piani provinciali di settore;
- misure di salvaguardia.
Il Piano Comunale
Il Piano Regolatore Generale Comunale (PRGC, PRG, PSC o PAT secondo le Regioni) è definito come uno strumento che regola l'attività edificatoria in un territorio comunale. È uno strumento redatto dal singolo comune o da più comuni limitrofi (Piano Regolatore Generale Intercomunale) e contiene indicazioni sul possibile utilizzo o tutela delle porzioni del territorio cui si riferisce.
Il primo Piano Regolatore fu introdotto dalla Legge 2359/1865 ed era costituito da due parti: un Piano regolatore edilizio, il cui ambito d'intervento era il perimetro della città esistente, e un Piano d'ampliamento, il cui ambito era il circondario esterno. Solitamente i piani regolatori comunali riguardavano soprattutto le grandi città e i primi piani in Italia furono: 1. Firenze (piano Poggi del 1865), 2. Roma (piano Viviani del 1873 e del 1882, piano Saintjust-Nathan del 1909), 3. Milano (piano Beruto del 1889, piano Pavia-Masera del 1912), 4. Torino (piano regolatore del 1906), 5. Napoli (piano di risanamento del 1885, piano De Simoni del 1914), 6. Bologna (piano regolatore del 1889).
La Legge Urbanistica Nazionale n.1150 del 17 agosto 1942 introdusse un nuovo tipo di Piano Regolatore con radicale trasformazione delle sue caratteristiche, quali l'estensione all'intero territorio comunale e l'obbligatorietà per comuni più importanti. Il P.R.G. del 1942 nacque come strumento regolatore della crescita urbana, ma intorno agli anni '70 divenne strumento di gestione dell'assetto del territorio con la finalità di disegnare la crescita delle città e gestire l'incremento urbano nel perimetro del territorio comunale. Era obbligatorio per comuni compresi nella lista delle regioni ed ha validità a tempo indeterminato. I contenuti principali erano i seguenti:
- individuare la rete principale delle infrastrutture
- zonizzare il territorio comunale
- indicare degli spazi destinati a spazi d'uso pubblico
- indicare delle aree destinate a fabbricati d'uso pubblico
- Piano Particolareggiato (PP)
- Piano per l'Edilizia Economica Popolare (PEEP)
- Piano di Lottizzazione (PL)
- Piano per Insediamenti Produttivi (PIP)
- Piano Operativo Comunale (POC)
Il PRG negli ultimi anni ha assunto nomi diversi a seconda delle Leggi Regionali in materia. In Lombardia la L.R. 12/2005 lo chiama PGT (Piano di Governo del Territorio), in Veneto la L.R. 11/2004 lo chiama PAT (Piano di Assetto del Territorio), in Emilia Romagna la L.R. 20/2000 lo chiama PSC (Piano Strutturale Comunale).
I Piani di settore
Oltre ai piani generali ed urbanistici esistono una serie di piani che sono elaborati per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli. Citiamo di seguito alcuni esempi di piani di settore.
Il Piano di Bacino
Il piano di bacino persegue le finalità previste dalla ex legge 183/1989 e riprese dal D.lgs 152/2006 che individua nel bacino idrografico l'ambito fisico di riferimento per gli interventi di pianificazione territoriale. In tal modo vengono superati i problemi di frammentazione e le difficoltà di coordinamento dovuti all'adozione di ambiti territoriali delimitati da confini puramente amministrativi. Per ogni distretto idrografico individuato, il DLgs 152 prevede l'elaborazione di un piano di bacino, il cui obiettivo è la pianificazione e la programmazione di interventi e la definizione di regole gestionali per la difesa e la valorizzazione del suolo e per la difesa della qualità delle acque. In riferimento a tali finalità viene perciò individuato un primo livello di obiettivi (obbiettivi generali), che fa riferimento alle esigenze di conoscenza del territorio e dell'ambiente, di programmazione degli usi delle risorse, di gestione e controllo e che assume come non negoziabili alcune variabili-obiettivo, quali la difesa dalle piene, la difesa delle coste e delle falde acquifere, la difesa dall'inquinamento, il mantenimento di un "minimo vitale" di portata nei corsi d'acqua in periodi di magra, la difesa delle valenze culturali.
Nel dettaglio tali obiettivi si riassumono nei seguenti punti:
- costituzione di un sistema integrato di conoscenza del territorio e dell'ambiente (fenomeni e processi naturali ed artificiali), attraverso la realizzazione e la gestione di una rete di monitoraggio ambientale nell'area del bacino e la messa a punto di un sistema di gestione delle informazioni collegato ed integrato con il sistema informativo nazionale;
- recupero della naturalità del bacino, attraverso l'allentamento della pressione antropica e attraverso il corretto e razionale uso delle risorse;
- miglioramento della qualità dei corpi idrici del bacino;
- tutela, valorizzazione e fruizione delle valenze culturali, storiche e paesaggistiche del territorio;
- utilizzazione del territorio e delle risorse del bacino in accordo con i principi dello sviluppo sostenibile, tenendo prioritariamente conto delle esigenze di difesa dei centri abitati dalle piene, di riduzione del dissesto idrogeologico e del mantenimento di una dinamica dei litorali e degli alvei compatibile con l'evoluzione naturale e le attività presenti nel bacino;
- ottimizzazione della gestione del bacino, attraverso la crescita strutturale e funzionale degli organismi pubblici preposti (amministrazioni pubbliche, servizi tecnici ambientali, enti di gestione) e l'utilizzazione di corretti strumenti di analisi costi/benefici e di valutazione di impatto ambientale.
Il Piano Gestione Rifiuti
Ai sensi del DLgs.152/2006 (comma 1, lettera a, dell’art.196) compete alla Regione la predisposizione, l’adozione e l’aggiornamento del Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti; tale strumento costituisce il riferimento pianificatorio per l’attuazione di sistemi di gestione di rifiuti conformi agli obiettivi del citato Decreto.
Tra i contenuti salienti del Piano Regionale (art.199, c.3 del DLgs.152/2006), si segnalano:
- la definizione della tipologia e del complesso degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti urbani da realizzare nella Regione, tenendo conto dell'obiettivo di assicurare la gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all'interno degli ambiti territoriali ottimali, nonché dell'offerta di smaltimento e di recupero da parte del sistema industriale;
- la delimitazione di ogni singolo ambito territoriale ottimale sul territorio regionale;
- il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti necessari a garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e autosufficienza della gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all'interno di ciascuno degli ambiti territoriali ottimali, nonché ad assicurare lo smaltimento dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione di rifiuti;
- la promozione della gestione dei rifiuti per ambiti territoriali ottimali attraverso una adeguata disciplina delle incentivazioni, prevedendo per gli ambiti più meritevoli, tenuto conto delle risorse disponibili a legislazione vigente, una maggiorazione di contributi; a tal fine le Regioni possono costituire nei propri bilanci un apposito fondo;
- i criteri per l'individuazione, da parte delle Province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti nonché per l'individuazione dei luoghi o impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti;
- le misure atte a promuovere la regionalizzazione della raccolta, della cernita e dello smaltimento dei rifiuti urbani;
- i tipi, le quantità e l'origine dei rifiuti da recuperare o da smaltire, suddivisi per singolo ambito territoriale ottimale per quanto riguarda rifiuti urbani.
- prevenzione della produzione qualitativa e quantitativa dei rifiuti tramite incentivi per l'utilizzo di materiali in quantità minore e di minor pericolosità ambientale per il loro smaltimento finale;
- recupero di materia e di prodotti tramite l'aumento della percentuale di rifiuto raccolto in modo differenziato e tramite il contributo dei consorzi di filiera per il riciclaggio dei rifiuti raccolti in modo differenziato o separati in appositi impianti di selezione. Il D.Lgs 152\2006, art.205, comma 1, indica il raggiungimento delle percentuali del rifiuto raccolto in modo indifferenziato: 35% di RD entro il 31\12\2006; 45% di RD entro il 31\12\2008; 65% di RD entro il 31\12\2012;
- recupero energetico dai rifiuti dai cui non è tecnicamente possibile o non è conveniente il recupero di materia;
- solo come fase residuale dei processi prima elencati lo smaltimento in discarica solo dei rifiuti pretrattati.
Il Piano Faunistico Venatorio
Il Piano faunistico venatorio regionale, sulla base dei criteri dettati dall’art. 10 della Legge 157/92 dettagliati poi a livello di norme regionali. Il Piano, corredato dalla relativa cartografia e dal regolamento di attuazione, ha i seguenti contenuti e finalità:
- attuazione della pianificazione faunistico venatoria mediante il coordinamento dei Piani provinciali (adeguato, ove necessario, ai fini della tutela degli interessi ambientali e di ogni altro interesse regionale);
- criteri per l’individuazione dei territori da destinare alla costituzione delle Aziende faunistico venatorie, delle Aziende agri-turistico-venatorie e dei Centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale;
- schema di Statuto degli Ambiti Territoriali di Caccia (ATC);
- Indice di densità venatoria minima e massima per gli ATC;
- Modalità di prima costituzione dei Comitati direttivi degli Ambiti territoriali di caccia e dei Comprensori alpini, loro durata, norme relative alla loro prima elezione e rinnovo;
- Criteri e modalità per l’utilizzazione del fondo regionale per la prevenzione ed i danni prodotti dalla fauna selvatica e nell’esercizio dell’attività venatoria, previsto dall’art. 28 della L.R. 50/93
- Disciplina dell’attività venatoria nel territorio lagunare vallivo;
- Criteri per l’assegnazione del contributo ai proprietari e conduttori di fondi rustici ai fini dell’utilizzo degli stessi nella gestione programmata della caccia, di cui al comma 1 dell’art. 15 della Legge 157/92.