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La Direttiva Habitat: limite o motore dello sviluppo?

di Gian Andrea Pagnoni 
ultima modifica 12 novembre 2007

Sebbene la Direttiva Habitat sia in vigore dal 1997, si può dire che fino ai primi anni 2000 la produzione di Sudi di Incidenza Ambientali sui Siti della Rete Natura 2000 non erano estensivamente richiesti dalle Amministrazioni competenti. Sebbene la percezione sociale e degli enti pubblici sulla necessità normativa di tale procedura sia sempre più diffusa, ancora oggi i professionisti vengono contattati con grande fretta perché un determinato progetto o un piano non vengono approvati perché mancanti dello Studio di Incidenza Ambientale.

Ogni sei anni gli Stati membri riferiscono sulle disposizioni adottate in applicazione della direttiva. La Commissione redige una relazione di sintesi in base a tali relazioni. In seguito all'adesione dei 10 nuovi Stati membri il 10 maggio 2004, gli allegati della direttiva sono stati modificati per tener conto della loro diversità biologica. L'allargamento ha portato con sé nuove sfide per la biodiversità e anche nuovi elementi, come una nuova regione biogeografica, la regione pannonica. I nuovi paesi hanno dovuto presentare gli elenchi delle zone di conservazione entro il 10 maggio 2004.
La Relazione della Commissione del 5/01/2004 sull'attuazione della direttiva 92/43/CEE sulla conservazione degli habitat naturali e seminaturali nonché della flora e della fauna selvatiche, che copre il periodo 1994-2000 sostiene la diffusa presenza di notevoli ritardi.
Quanto alla conservazione degli habitat, la Commissione fa presente che la selezione dei siti proposti è stata lenta nella maggior parte dei paesi. Alla fine del periodo coperto da tale relazione, sussistevano alcune lacune in tutti gli elenchi nazionali dei siti proposti. Tuttavia, la Commissione segnala che sono stati compiuti notevoli progressi tra la fine del suddetto periodo e la data di elaborazione della relazione, dal punto di vista della istituzione della rete Natura 2000.
Dal punto di vista della protezione dei siti, la relazione in esame presenta tre gruppi di paesi o regioni:
  • quelli che hanno stabilito una piena protezione legale per tutti i siti (in particolare il Regno Unito, l'Irlanda e la Galizia);
  • quelli che hanno adottato qualche provvedimento amministrativo a protezione di tutti i siti proposti;
  • quelli che hanno protetto i siti proposti solo attraverso le aree protette esistenti e non hanno selezionato nuovi siti.
Per quanto riguarda la gestione dei siti, la relazione distingue tra:
  • quelli che inseriscono i siti proposti nel loro sistema di zone protette o quelli in cui è stato elaborato ed è in funzione un sistema per istituire i piani di gestione (in particolare in Francia);
  • quelli che attendono che le loro zone diventino siti d'interesse comunitario (SIC) e i cui progressi in materia di gestione sono stati scarsi.
La Commissione sottolinea che l'obbligo d'istituzione dei meccanismi di gestione, comprendenti, se necessario, piani di gestione, si applicherà soltanto dopo la designazione dei siti come zone speciali di conservazione. Di conseguenza, la gestione dei siti è basata per il momento sulle discipline legislative e amministrative nazionali esistenti e non sugli obblighi che deriveranno dalla direttiva.

In ambito pubblico (per i piani), ma soprattutto in ambito privato (per i progetti) soprattutto di dimensione medio-piccola, la procedura di VINCA è pesantemente percepita come un limite allo sviluppo sociale ed economico. Per questo il rapporto con il committente (in particolare con il privato) risulta spesso delicato e non è sempre facile far percepire la necessità legale (per non parlare di quella etica) di tale procedura.
La Convenzione di Berna, attraverso le "riserve" e le "obiezioni" consente di modellare la convenzione alle caratteristiche proprie di ogni stato firmatario, viceversa questo non è possibile per la Direttiva Habitat, la quale, essendo una "direttiva", lascia agli stati una certa libertà quanto ai mezzi per raggiungere gli obiettivi da essa individuati, ma non consente di modificare gli obiettivi stessi. La finalità della Direttiva habitat è molto chiara e non vi sono meccanismi che consentano deroghe da parte dei singoli stati. 
Per questo motivo l'art. 6 prevede che qualunque piano o progetto che abbia una incidenza negativa con specie o habitat di interesse comunitari non possano essere realizzati a meno che non siano per un imperante interesse pubblico o (in caso di incidenza su habitat o specie prioritarie) per fini legati alla salute umana. Tale limitazione diventa sempre più motivo di procedure negative e necessità di abbandono del progetto da parte dei committenti.
Una volta ultimata la creazione della rete Natura 2000, la gestione dei siti designati diventerà l'azione prioritaria per la protezione della biodiversità nell'UE. In questa prospettiva, occorre un finanziamento sufficiente a garantire che Natura 2000 risponda agli obiettivi perseguiti e sia in sintonia con le peculiarità locali. Secondo la Commissione, la rete può recare indubbi vantaggi, sia sul piano economico (sviluppo di servizi legati agli ecosistemi, fornitura di prodotti alimentari e forestali, attività direttamente connesse ai siti, come il turismo, ecc.), che su quello sociale (diversificazione delle fonti di occupazione, consolidamento e stabilizzazione del tessuto sociale, miglioramento del tenore di vita, salvaguardia dei beni culturali, ecc.). La Commissione calcola tuttavia che il fabbisogno finanziario sarà cospicuo, sia per gli interventi conservativi dei siti designati (investimenti puntuali o azioni a più lungo temine, come la sorveglianza dei siti), sia dal punto di vista dell'impatto sulle attività economiche (ribasso dei prezzi fondiari, agricoltura, pesca, trasporti, edilizia, attività estrattive o forestali, ecc.). Stando alle informazioni fornite dagli Stati membri, il costo di gestione di Natura 2000 ammonterebbe, secondo i calcoli della Commissione, a circa 6,1 miliardi di euro l'anno per l'UE-25.
Dato l'impatto transfrontaliero della protezione della biodiversità, la Commissione propende per un regime di cofinanziamento comunitario. Dopo aver esaminato diverse possibilità di finanziamento (utilizzo dei fondi esistenti o creazione di un fondo ad hoc), la Commissione è giunta alla conclusione che il migliore approccio sarebbe quello di attingere ai vari fondi attualmente esistenti (con conseguente integrazione di Natura 2000 in altre politiche comunitarie pertinenti). Essa ritiene infatti che, grazie a un simile approccio:
  • la gestione dei siti designati entrerebbe a far parte di politiche comunitarie più vaste in materia di gestione del territorio (segnatamente politica agricola comune e politica di sviluppo rurale);
  • gli Stati membri sarebbero liberi di stabilire le loro priorità e di definire politiche e provvedimenti che siano consoni alle rispettive peculiarità nazionali e regionali;
  • si eviterebbe la proliferazione e la sovrapposizione di più strumenti di finanziamento comunitari.
La Commissione intende quindi proporre, nel contesto delle prossime prospettive finanziarie, di permettere agli Stati membri di ricevere un contributo a carico di alcuni degli strumenti esistenti per il finanziamento di determinate attività.


Sito personale di Gian Andrea Pagnoni